È lunedì mattina, sono in riunione, mi arriva sulla app della scuola la notifica di una “nota” presa da mio figlio, prima elementare. Sobbalzo, mi chiedo cosa possa aver combinato. Apro la comunicazione: nell’astuccio manca il pastello rosso.
Ora, io di mestiere non salvo vite umane (altre mamme, invece, sì) ma è normale in orario di lavoro essere disturbati per cose simili? Ma pure se fossi stata a passare l’aspirapolvere o a farmi le unghie: che senso ha?
Ci penso dopo avere letto l’ennesimo articolo sui genitori spazzaneve – quelli che rimuovono tutte le difficoltà dalle vite dei loro figli – e sui genitori elicottero – quelli iperprotettivi. Due nuove etichette che ci sono state recentemente appioppate per descrivere la nostra inettitudine.
Iperprotettivi ma menefreghisti
Noi genitori moderni: da un lato troppo “egoisti”, presi come siamo dalla “carriera” (ma quale carriera? Beato chi ce l’ha) e dagli “aperitivi” (per me uno spritz, grazie). Dall’altro troppo ansiosi e accudenti nei confronti dei figli, che non rendiamo mai autonomi, difendendoli da ogni dispiacere e risolvendo i problemi per conto loro. Due brutti difetti che dovrebbero, almeno, potersi escludere l’uno con l’altro: o di tuo figlio “te ne freghi” oppure sei “iperprotettivo”. Non nel nostro caso: noi genitori di oggi le colpe ce le prendiamo tutte.
Io vorrei tanto rendere i miei figli più autonomi, ma la verità è che mi scontro con inserimenti all’asilo che durano un mese e con compiti scolastici che non vengono più scritti sul diario, ma sul registro elettronico. Giusto ieri mi è arrivato l’allarmato messaggio di un padre di tre figli (eroe) che non trovava indicazioni su dove svolgere il problema sui triangoli isosceli e chiedeva a me indicazioni. Venti minuti di ricerche prima di rendermi conto che la geometria non è programma di prima elementare: quelli sono i compiti del suo figlio maggiore, che non è in classe col mio.
Ma come siamo finiti noi quarantenni a mandarci messaggi sui triangoli isosceli? Ho sempre pensato che mi sarei ribellata al fatto che i compiti di scuola dei bambini fossero diventati compiti “per tutta la famiglia”, eppure non lo faccio perché ci tengo che mio figlio vada a scuola avendo ripassato i mesi dell’anno e con tutti i pastelli nell’astuccio. Sono diventata uno spazzaneve?
Maltrattatori e debosciati
Io ci provo, con i bambini, a usare la disciplina dolce, e spesso funziona. Ciò non significa che io non possa arrabbiarmi, urlare, piangere, essere triste e persino dire cose di cui mi pento. Lo faccio perché sono un essere umano: diventare madre non mi ha trasformata in un robot con la scheda madre firmata da Maria Montessori.
Eppure le nostre performance genitoriali sono valutate secondo criteri sempre più stringenti: non basta evitare di prendere a sberle il proprio figlio per essere genitori semi-decenti, non bisogna urlare (causa ansia, paura, depressione, espone i giovani a un maggior rischio di autolesionismo, uso di droghe e condotta antisociale), non bisogna punire, non bisogna minacciare. «Non si parla così alle bambine! Si parla con gentilezza!» mi dice mia figlia di 3 anni corrucciatissima perché le ho detto di riordinare i giochi con un tono più burbero del solito.
E io sarei anche pronta a cospargermi il capo di cenere, ma all’improvviso – invece di una madre moderna e illuminata – sono additata come una madre che si fa mettere i piedi in testa. Ecco il “boomer” che ci ricorda che un bambino maleducato ha bisogno di una bella sberla e che la disciplina, insomma, va imposta. I nostri sforzi per un’educazione “non violenta” sono fissazioni da debosciati, che stanno crescendo figli ancora più debosciati. Forse aveva ragione la signorina Rottenmeier?
Le madri di una volta
Finora ho sempre usato il termine “genitori” perché credo profondamente che madre e padre crescano i figli insieme e perché questo riflette la mia esperienza personale. Ma è scontato che quando si rimpiangono i genitori “di una volta” si rimpiangano nello specifico le madri “di una volta” che stavano a casa e si dedicavano in maniera completa alla prole.
Sapete una cosa? Non è vero. I genitori di oggi passano il doppio del tempo con i loro figli rispetto a 50 anni fa e lo fanno soprattutto quelli con un buon lavoro e una buona istruzione.
Daniela, un’affezionata lettrice di Eppen mamma di due figli di 12 e 14 anni, risponde alle sollecitazioni lanciate dal progetto Missione Bergamo : «Davvero non ricordo nemmeno se mia madre casalinga avesse almeno cucinato la torta per il mio compleanno». Altro che cake design. E procede condividendo un elenco che a noi genitori moderni fa l’effetto di un sogno ad occhi aperti: raramente si andava alle riunioni di scuola, le riunioni di catechismo e varie attività sportive non erano ancora state inventate, non si facevano lavoretti né si giocava per forza con i figli. Sua madre non la accompagnava da nessuna parte (non aveva la patente) né si sentiva obbligata a organizzare attività legate allo sport o alla musica, né ad aiutarla nei compiti né a favorire la socialità con i coetanei né ad usare la disciplina dolce: «Mia madre mi chiedeva una volta di ritirare il bidone della spazzatura, alla seconda era libera di darmi una bella sberla senza avere i rimorsi di avermi inflitto chissà quale punizione e aver mancato di autocontrollo».
Un altro lettore, Valerio, scrive: «Dire che era meglio una cosa di 40 anni fa non significa essere retrogradi. Significa utilizzare la conoscenza per fare le cose al meglio». E io sono davvero tentata di dargli ragione al cento per cento (scriveteci!).
Siete troppo insicuri
Al termine di questa carrellata di giudizi e pareri sul nostro operato di genitori peggiori di sempre, ecco il mio preferito: «Siete disorientati! Fragili! Troppo insicuri». E la soluzione quale sarebbe? Quello che proporrei io: servizi di base pubblici e gratuiti che supportino concretamente la genitorialità, orari di lavoro ridotti e flessibili, spazi di socialità e condivisione, più risorse per la scuola, regole stringenti sul registro elettronico e sulle comunicazioni scuola-famiglia. Quello che viene generalmente proposto: pagare profumatamente di tasca propria un esperto – pedagogista, ostetrica, consulente del sonno e dell’allattamento, psicologo, psicomotricista, neuropsichiatra, specialista dell’età evolutiva, insegnante privato, life coach – per sopperire alle nostre mancanze e insegnarci la vita.
Non fraintendetemi: io sono felicissima di potermi confrontare con chi ne sa più di me di bambini ed educazione, e di imparare cose nuove. Vorrei solo che non fosse l’ennesimo fardello – economico, emotivo – sulle spalle del singolo e della famiglia. Vorrei che alla prossima persona che dà consigli non richiesti, tutti noi genitori – metaforicamente, ma anche fisicamente – potessimo allungare il pupo e dire: «Sai che c’è? Pensaci tu». Poi però non mandateci il conto dello psicanalista.