Non sapevo cosa fosse la FOMO finché un mio amico, qualche settimana fa, non ha pubblicato una foto sul suo profilo Instagram che lo ritraeva felice. Didascalia perentoria: «FOMO». Abbiamo cominciato una delle solite accese discussioni in cui lui si lamentava di non avere abbastanza energie, di sentirsi svogliato e io gli facevo notare che ha più di trent’anni e quindi è finito il tempo in cui si esce e ci si diverte tutte le sere. Al che lui, provandomi a spiegare la sua incapacità di non lasciarsi trascinare dagli eventi, mi ha detto: «C’ho la FOMO».
Mi sono accorta, analizzando i miei comportamenti all’indietro, che ne soffro anche io. I primi sintomi della FOMO risalgono al 2021. Come ho raccontato già in diverse occasioni, mi sono trasferita a Bergamo per motivi di studio e ho abitato per più di tre anni in una residenza universitaria insieme a novanta persone. “Insieme” è un concetto relativo, nel senso che ovviamente non conoscevo tutti ma, anche se ognuno aveva la sua piccola stanza privata, condividevamo gli spazi comuni in cui si facevano giochi da tavolo, feste, si guardava la tv e si cenava.
Quel tempo mi è servito per crescere, per comprendere che potevo fidarmi del prossimo, che quando qualcuno ti chiede: «Hai bisogno?» non presuppone che tu sia in una condizione di necessità, ma sta sottintendendo: «Volevi dirmi qualcosa?». Ciò che vi sto raccontando apparentemente potrebbe non c’entrare nulla con la tecnologia. Se i social network però hanno per loro genesi una natura gregaria, posso senz’altro dire che quei tre anni sono stati sicuramente quelli in cui per la prima volta mi sono sentita fortissimamente parte di un gruppo. E quindi arriviamo a un collegamento.
Da cosa deriva il timore di essere tagliati fuori?
La FOMO si nutre della costante esposizione a flussi di informazioni e immagini che documentano le vite degli altri in tempo reale, creando una percezione distorta della realtà sociale. Le persone possono iniziare a confrontare la loro vita quotidiana con gli highlight curati e spesso idealizzati che altri postano online. Questo confronto può portare a sentimenti di inadeguatezza, gelosia e ansia, alimentando ulteriormente il desiderio di essere sempre connessi e informati per non “perdere” nulla.
Non a caso, tornando per un attimo alla mia esperienza in residenza, mi sono resa conto (e altri miei amici mi hanno confermato questa sensazione) che vivere lì per tre anni ti fa credere che tutta la tua vita ruoti intorno alle dinamiche di gruppo di quel posto. Per certi versi è così, perché la residenza sembra quasi una sorta di “Grande Fratello”. Scandisce i tuoi ritmi e i tuoi orari, decide quando si cena, quando si va a dormire, determinando la creazione di gruppi eterogenei, fondati talora sulla provenienza, talaltra su interessi e storie comuni. E dunque si crea l’illusione che quelli saranno per sempre i tuoi amici, le persone su cui potrai contare per il resto della vita.
Il punto è che una volta uscita da lì mi sono buttata a capofitto nel mondo del lavoro e improvvisamente tutte le dinamiche che fino a pochi mesi prima mi sembravano indispensabili e vitali avevano perso valore. Mi sentivo distante, lontana e al tempo stesso tagliata fuori. Semplicemente perché mi sembrava di non avere mai tempo per coltivare quei legami, e che gli altri, dal canto loro, non avessero mai tempo per raggiungermi.
Facevo quindi di tutto per trovarmi in quel gruppo di amici che per anni aveva rappresentato la mia crew, per partecipare a quelle feste che mi sembravano divertentissime e che vedevo ormai solo sui social. E poi, quando mi trovavo dentro a quelle dinamiche, che fossero serate in discoteca o cene fuori, provavo un forte senso di inadeguatezza che mi spingeva a chiedermi: «Ma io che ci faccio qui?»
Come nasce la paura di sentirsi esclusi?
La FOMO viene spesso delineata come un effetto collaterale della cultura dell’iper-connessione e della sovraesposizione mediatica. Spinge le persone a cercare connessioni sociali online per non sentirsi escluse dalle esperienze degli altri. Questo può portare a un uso compulsivo dei social media nella speranza di mantenere legami sociali o di partecipare virtualmente a esperienze condivise. Inoltre, la FOMO può influenzare comportamenti online e offline come l’over-sharing (cioè la condivisione eccessiva di dettagli personali online), l’impulsività nell’acquisto di beni o servizi promossi sui social media, o la partecipazione a eventi solo per il timore di essere esclusi, piuttosto che per un genuino interesse.
Si tratta di un fenomeno complesso che incarna le sfide e le contraddizioni dell’era digitale. Ci offre infatti spunti critici sulla natura delle nostre interazioni sociali online e sulle implicazioni di un mondo sempre più connesso ma, paradossalmente, anche più isolato.
E tu hai la FOMO?
Ho provato a chiedere ad alcuni miei amici vicini e lontani di rispondere a qualche domanda, individuando dei soggetti che sono come me immersi nelle dinamiche della FOMO e altri che invece sono più inclini a distaccarsene. Claudio, per esempio, ha 26 anni, lavora come educatore nelle scuole, ama la montagna (ma non disdegna il mare) e i lungi viaggi, possibilmente in auto (la sua): «Avverto da sempre il timore di essere escluso, da quando ho cominciato il liceo che è un po’ quella fase cruciale in cui inizi a uscire e a confrontarti con gli altri. Mi è sempre pesato il fatto di non avere un vero e proprio gruppo di amici, venendo comunque da un piccolo paesino di provincia. Ero sempre non l’escluso, ma quello da non prendere proprio in considerazione, che forse è anche peggio».
La motivazione sottostante alla FOMO include il bisogno umano fondamentale di appartenenza e accettazione sociale. «Diciamo che la mia sofferenza si acuisce soprattutto nel weekend quando magari mi capita di non organizzare nulla e rimango a casa e magari anche i miei non ci sono. Sono veramente pochissime le volte in cui riesco a rilassarmi, perché penso al fatto che mi sento da solo, confrontandomi con gli altri, benché io stesso alla fine sia una persona che viaggia molto, vive esperienze e ha amici in ogni parte d’Italia».
L’esposizione costante alle vite degli altri attraverso i social media può alimentare sentimenti di insoddisfazione verso la propria vita, contribuendo a una spirale di uso compulsivo dei media digitali per cercare contenuti che possano temporaneamente alleviare questi sentimenti. «Sono andato a Torino da solo e ho conosciuto anche delle persone. Ma mentre camminavo per le strade continuavo a condividere foto via Whatsapp con amici e parenti, a pubblicare contenuti. Era come se stessi dicendo: “Vorrei che ci fossi anche tu per essere partecipe di quello che sto vedendo, anche se è un particolare o un dettaglio insignificante”. Instagram ha dato alle persone la possibilità di esprimere la propria creatività, ma al tempo stesso è un’arma a doppio taglio, secondo me perché ti permette di vedere esattamente quello che fanno gli altri».
Solo social media?
Il lavoro del ricercatore Andrew Przybylski sul fenomeno della FOMO viene spesso considerato una pietra miliare in materia, perché svela un tessuto complesso di dinamiche psicologiche e sociali che trascendono il semplice uso dei social media, infiltrandosi profondamente nell’esperienza emotiva umana. Al centro di questa ricerca c’è la scoperta di come la FOMO sia alimentata da una serie di motivazioni profondamente radicate e da comportamenti sociali interconnessi, in un ciclo che spinge gli individui verso comportamenti online specifici.
Nel mio lavoro, quando entro sui social, mi espongo a un flusso di informazioni che mi fanno sempre salire la voglia di documentarmi su tematiche urgenti ed importanti. Questa frenetica ricerca di approfondimento, però, si traduce in una ricognizione superficiale che non fa altro che aumentare la necessità di prendermi del tempo che poi, forse, è davvero ciò che ci manca. Tempo di qualità.
Laura, classe 1990, laureata in Cooperazione e Diritti Umani, ama la lettura, le lunghe passeggiate e le serate tra amici. «Onestamente, non ho mai fatto parte dei frequentatori assidui dei social network. Tuttavia, conservo un interesse costante per le nuove tecnologie che caratterizzano il nostro periodo. La mia curiosità è alimentata soprattutto dal fatto che molte di queste innovazioni possono effettivamente semplificare vari aspetti della vita, come ridurre le distanze. Personalmente, non ho regole fisse riguardo all’uso dei social network, ma cerco sempre di sfruttarli per creare nuove opportunità di incontro offline».
Per affrontare la FOMO è cruciale iniziare con la consapevolezza del proprio consumo di social media. Riconoscere che questi strumenti, pur offrendo finestre sulle vite altrui, presentano spesso una realtà filtrata e idealizzata, è il primo passo verso il distacco da una costante ricerca di approvazione e confronto.
La vera libertà risiede nella capacità di scegliere come navigare nelle acque della nostra era digitale, riscoprendo il potere insito nelle connessioni umane e nelle nostre vite non filtrate. Oppure, per dirla come l’ha detta la mia amica Martina, nel capire che: «Il successo è nelle piccole cose. Nella sensazione di piacere e potenza nel tornare a casa dopo aver dato un esame. Il fallimento è diventare schiavi della vita apparente degli altri e non rendersene conto. La FOMO influenza tanto la percezione delle cose, anche quello che rappresentano per noi il successo e fallimento».