Nel vasto mondo della musica dal vivo si può trovare davvero qualsiasi cosa. Esperimenti sonori e fusioni di diversi generi sono all’ordine del giorno. Ogni tanto, però, le nostre orecchie hanno bisogno di ritornare a qualcosa di più famigliare, magari già famoso e rassicurante, oppure nasce in noi il desiderio di sentire live una canzone di una band che magari non si esibisce più o il cui prezzo del biglietto è ormai abbondantemente fuori portata per le nostre tasche. Partendo (anche) da questi ragionamenti sono nate negli anni due tipologie di gruppi: le cover band, ovvero complessi nati per eseguire musica di altri gruppi famosi seguendo una scaletta con un filo più o meno logico, e le tribute band, ovvero band tributo specializzate nell’eseguire brani di un singolo artista\combo. Da anni questo tipo di formazioni - soprattutto le tribute band nell’ultimo decennio - compare nei programmi musicali di manifestazioni di vario tipo, dalle sagre di paese alle rassegne musicali teatrali.
Per capire qualcosa in più su questo fenomeno, ne abbiamo discusso con Giuseppe “Beppe” Maggioni, cantante classe ‘79 arrivato al grande pubblico anche grazie alla sua partecipazione all’edizione del 2014 del programma «The Voice» e attualmente voce di uno dei migliori tributi ai Queen in Italia: i Vipers.
GT: Come sono nati i Vipers?
GM: I Vipers sono nati molti anni fa. Io mi sono unito alla band nel 1998, quando cercavano un cantante. All’inizio eravamo un gruppo di ragazzi di Brembate Sopra e abbiamo iniziato facendo cover rock e hard rock, spaziando tra artisti italiani come i Timoria e internazionali come gli Europe e i Queen. Nel 2001, partecipando a Emergenti Live su TV Bergamo – competizione che abbiamo anche vinto – abbiamo iniziato a scrivere pezzi nostri, con la speranza di costruirci un futuro nella musica. Verso il 2003-2004, per trovare più occasioni di suonare, ci siamo adattati alla richiesta di un locale: organizzare una serata a tema dedicata ai Queen, la nostra band preferita. Da lì è nata la nostra avventura come tribute band, un fenomeno che all’epoca era ancora poco diffuso. Da allora non ci siamo più fermati, trasformando questo progetto in un vero lavoro circa 12-13 anni fa. La formazione è cambiata nel tempo e ora siamo stabili da un paio d’anni. Il Covid ha avuto un forte impatto, portando alcuni membri a fare scelte di vita diverse, ma il progetto è andato avanti. Una svolta importante è arrivata nel 2016, quando abbiamo iniziato a suonare all’estero, partecipando a festival in Olanda e, successivamente, in paesi come Romania, Francia, Spagna, Germania, Lituania, Slovenia e altri. Ora giriamo regolarmente in dieci paesi europei, portando avanti con passione la musica dei Queen.
GT: Quali sono le caratteristiche che deve avere una tribute band? Esiste una sorta di modus operandi in questo ambiente?
GM: Ci sono due tipi di tribute band: quelle che replicano ogni dettaglio, dai movimenti sul palco ai gesti, e quelle che rendono omaggio con un approccio più personale. Noi abbiamo scelto quest’ultima strada, aggiungendo solo alcuni elementi scenografici e costumi ispirati ai Queen, senza mai volerci trasformare in loro sosia. Per noi il tributo significa interpretare le canzoni con passione, rispettando l’intento originale ma aggiungendo un tocco personale. La scelta delle scalette è cruciale: non si può proporre sempre lo stesso spettacolo, quindi alterniamo brani più noti a quelli meno conosciuti, per far scoprire al pubblico anche aspetti meno popolari dei Queen.
La cosa più importante è ricreare lo spirito e l’emozione che si respirava a un loro concerto, perché un tributo autentico nasce dalla passione per la band che si omaggia. Purtroppo, a volte si vedono tribute band nate solo per cavalcare la moda del momento, ma noi siamo mossi esclusivamente dal nostro amore per i Queen, ed è ancora così.
Portiamo sul palco le canzoni che ci appassionano di più, e non solo per catturare il pubblico. È una grande soddisfazione quando qualcuno ci chiede informazioni su un brano meno conosciuto. Questo per noi significa aver raggiunto il nostro obiettivo: condividere la bellezza e la profondità della musica dei Queen.
GT: Alle spalle di tutto questo c’è comunque uno studio approfondito della band e della sua musica soprattutto dal punto di vista tecnico, giusto?
GM: Tantissimo, perché i Queen hanno un repertorio tecnicamente molto impegnativo, sia a livello strumentale sia per quanto riguarda gli arrangiamenti compositivi. Per quanto mi riguarda, ricoprendo una delle parti forse più difficili, quella vocale, è sempre stata una priorità mantenermi in salute vocalmente. Non è semplice, ma è fondamentale. L’aspetto tecnico ha un peso enorme e per questo mi impegno costantemente per mantenere, almeno secondo i miei standard, un livello alto. È un lavoro continuo di studio e miglioramento.
GT: Come reagisce il pubblico ai vostri spettacoli?
GM: Il pubblico reagisce sempre benissimo ma i Queen, da questo punto di vista, rendono tutto un po’ più facile. Hanno un pubblico vastissimo, che si è ulteriormente ampliato dopo l’uscita del film («Bohemian Rhapsody» del 2018), coinvolgendo anche i più giovani. Le loro canzoni sono diventate veri e propri inni, memorabili e ancora oggi presenti nelle nostre vite: le ascoltiamo in radio, le sentiamo in film e pubblicità. Questa capacità di richiamare immediatamente la memoria musicale di un pubblico così ampio rende la risposta del pubblico sempre molto positiva. Lo dimostra il fatto che continuiamo a lavorare tanto, forse persino più di prima. I Queen sanno coinvolgere sia sul piano emotivo che su quello più immediato, con brani che spaziano dall’allegria e dal movimento a quelli che toccano corde più sentimentali.
GT: Da quando hai cominciato ad esibirti ad oggi, è cambiato qualcosa nel mondo delle tribute band?
GM: È cambiato molto nel tempo. Per noi c’è stata un’evoluzione significativa e la nostra fortuna è stata approdare a contesti di grande importanza. Abbiamo avuto la possibilità di suonare in festival con 15-18 mila persone e di esibirci in teatri prestigiosi. Ora stiamo portando in tour uno spettacolo chiamato Queen Rhapsody, con una produzione di alto livello, che toccherà molti dei principali teatri italiani, come il Brancaccio di Roma, il Fraschini di Pavia, e tanti altri. Questa crescita ci ha portato su palchi sempre più grandi e importanti. Tuttavia, nel mondo musicale c’è sempre stata una sorta di diatriba tra chi suona in tribute band e chi propone musica originale. È una questione di punti di vista, e non ci sarà mai un accordo definitivo. Dal mio punto di vista, tutto dipende dall’intento con cui ti esponi e fai musica. Chi ha il talento di scrivere e proporre la propria musica è certamente da ammirare, ma anche portare in giro la musica di chi ha fatto la storia ha un grande valore. Il fatto che il pubblico continui a seguirla, cercarla e volerla ascoltare lo dimostra chiaramente. Quando abbiamo iniziato, l’idea del tributo era appena agli inizi e funzionavano di più le cover band che suonavano un po’ di tutto. Oggi c’è stata un’evoluzione e le tribute vanno un po’ più «forte». Vedremo quale sarà il prossimo passo.
Gli appuntamenti
Stilare un calendario di serate tributo «appetibili» risulta un’impresa tutt’altro che semplice, data sia la mole di eventi, sia le enormi differenze a livello di genere preferito e tipologia di spazi adibiti a sala concerto. Venerdì 24 gennaio, ad esempio, al Palafacchetti di Treviglio ci sarà una serata dedicata a Lucio Battisti dal titolo «Canto libero» ma, in contemporanea, i «Blascover» si esibiranno con la loro serata tributo a Vasco Rossi al «Quei Bravi Ragazzi» di Grignano (fraz. Brembate). Al Keller Factory di Curno i «MegaMax» omaggeranno Max Pezzali, mentre sabato 25 gennaio saranno i «Pronti a Correre» i protagonisti della serata, proponendo i grandi successi di Marco Mengoni.
Venerdì 31 invece sempre al «Quei Bravi Ragazzi» ci saranno i «Sensazione Modà» con il loro tributo ai Modà, il «Manga Restaurant» di Albano Sant’Alessandro ospiterà un tributo a Renato Zero e al Druso di Ranica si esibiranno i «Linkin Revolution» con il loro tributo ai Linkin Park.
Di estremamente particolare a riguardo va però segnalato l’insieme di appuntamenti «Candlelight», ovvero serate di musica classica a lume di candela dedicate a grandi artisti del panorama della cultura pop. Il 25 gennaio, ad esempio, il Centro Congressi Giovanni XXIII ospiterà una serata dedicata ai Coldplay e, a seguire, al maestro Ennio Morricone . Il giorno seguente, il 26 gennaio invece, lo stesso format verrà riproposto per dare vita alle colonne sonore della serie «Bridgerton» .
A febbraio gli appuntamenti sono semplicemente troppi per poter essere elencati, però vale la pena citare il tributo «Pooh Classic» che andrà in scena al Teatro dei Filodrammatici di Treviglio il prossimo 15 febbraio e il calendario di «Candlelight» al centro congressi Giovanni XXIII che, sabato 1 febbraio, porterà sul palco prima Vivaldi e poi i Queen mentre sabato 7 febbraio sarà la volta di un’immaginaria sfida tra Coldplay e Imagine Dragons seguita dalle musiche di Ennio Morricone . Per informazioni sui singoli eventi rivolgersi alle pagine web dei locali e degli spazi sopracitati.
Un ultimo consiglio
Uscendo un attimo dal ruolo di mero cronista e vestendo i panni dell’appassionato di eventi dal vivo, mi piacerebbe porre l’attenzione sul fatto che questi show non devono essere intesi come sostituti della musica originale ma, appunto, come esibizioni con una propria dignità e identità. Gli artisti che scelgono di tributare una band lo fanno per molteplici ragioni, dal desiderio di mettersi alla prova alla volontà di omaggiare, come abbiamo letto nell’intervista di Giuseppe Maggioni, la propria band preferita. L’invito è quindi quello di godersi la musica cercando di bilanciare il proprio impegno live da ascoltatori tra gruppi tributo e concerti originali, in modo da poter scoprire qualcosa in più di classici già conosciuti e al contempo scovare qualche nuova stella emergente in un genere che magari non avevamo mai ascoltato prima. Al pari di tutta l’arte, la musica non è una sfida, è un viaggio.