Cronaca
Martedì 11 Luglio 2023
Don Claudio Visconti: «Il Foyer Catholique Européen luogo dove rimettere la fede centro»
BERGAMASCO A BRUXELLES. Don Claudio Visconti, responsabile della comunità italiana a Bruxelles, è l’anima questo spazio di incontro.
Vivere a Bruxelles è come sperimentare la biblica Babele, se non conosci almeno due lingue, rischi di rimanere isolato. E quelle parlate sono almeno 23 come avviene regolarmente nella sede del Parlamento europeo (la 24a è il gaelico). È una città divisa in 19 comuni, alcuni dei quali caratterizzati da etnie che trasformano le vie a tal punto che il visitatore si sente catapultato di colpo dall’altra parte del mondo, in Tunisia anziché in Congo. Pur trovandosi a due passi dal centro, l’atmosfera cambia completamente. Si osserva una multiculturalità con una varietà di categorie sociali che riescono comunque a restare unite. Sarà forse la presenza del Parlamento europeo in città ma la sensazione dell’emiciclo si vive anche per le strade, come se Bruxelles fosse una grande assemblea mondiale.
In questo melting pot favorito anche dai numerosi funzionari e impiegati che lavorano per l’istituzione europea, c’è uno spazio dedicato alla comunità cattolica che è gestito da don Claudio Visconti, sacerdote bergamasco che da sei anni è il responsabile della comunità italiana a Bruxelles. Nella sua missione di offrire un luogo d’incontro che vada oltre il lavoro dei tanti italiani presenti in città, don Claudio ha deciso di ristrutturare il Foyer Catholique Européen, nel cuore della capitale belga, che ospita sale riunioni, uffici, la sede di un gruppo scout e una cappella decorata con un’opera artistica di Andrea Mastrovito.
Don Claudio è un vulcano di entusiasmo e un po’ rispecchia la vivacità della capitale. Per un prete cattolico però non è vita semplice in un Paese sempre più secolarizzato, dove le chiese – di proprietà statale – vengono vendute a privati che le ristrutturano e le mantengono ma le trasformano in librerie o discoteche. Inoltre i sacerdoti sono alle dipendenze dello Stato e vengono stipendiati dal ministero della giustizia. Una situazione per niente paragonabile a quella che si vive in Italia. «È vero, qui si sperimenta un mondo dove il cattolicesimo è una minoranza, ma la religiosità non è venuta meno – spiega don Claudio che riuscirebbe a trovare il positivo anche all’inferno -. Chi è cristiano, trova qui al Foyer un luogo dove rimettere la propria fede al centro. Le famiglie cristiane cercano uno spazio dove condividere i valori in cui credono e desiderano trasmetterli ai figli. Così organizziamo il catechismo e la preparazione ai Sacramenti. Tra l’altro le famiglie sono numerose perché gli stipendi sono alti e, diversamente dall’Italia, qui si fanno ancora tanti figli. Quindi capita di fare prime Comunioni a un’ottantina di bambini. La nostra chiesa è a Woluwe Saint Pierre (uno dei 19 comuni, dove abitano tanti italiani) e si chiama Sainte Alix. Lì facciamo le celebrazioni domenicali e quelle dei sacramenti di comunità come Prime Comunioni e le Cresime».
L’opera di don Claudio
L’opera di don Claudio segue un po’ il motto dell’Europa: unità nella diversità. «Qui la diversità riesce a convivere perché c’è un forte rispetto dell’individuo – dice don Claudio -. Ad esempio negli incontri tra adulti si è deciso che non si parla di politica, altrimenti c’è il rischio che si creino divisioni. Si sta insieme, si partecipa alla Messa domenicale, si organizzano incontri di formazione e catechesi, tutto per dare senso alla vita di persone che si trovano in una terra che non è la loro. Così il Foyer, che venne fondato nel 1963 dai cristiani impegnati nel processo di unificazione europea, è tornato a essere un luogo di risposta alle domande più profonde sul senso della vita». Un’operazione complessa che don Claudio ha saputo rilanciare con il suo carattere accogliente e con una visione di pastorale cattolica europea aperta alle differenze. «In una città crocevia del mondo, il desiderio è rendere il Foyer un punto sicuro dove far crescere la fede». E qui la Babele si trasforma in Pentecoste: dalle mille lingue a quell’unico linguaggio d’amore del Vangelo.
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