Torniamo al Monte Poieto , meta agevole e divertente se la si raggiunge da Aviatico, più impegnativa ma avvincente e ricca di spunti storici se si sceglie di partire dal fondovalle seriano.
Ecco la proposta di un itinerario ad anello attorno alla Val di Plaz con partenza da Rova, popolosa frazione di Gazzaniga. Il nome Rova deriva dal termine roa, frana, con chiaro riferimento ai frequenti smottamenti e alluvioni di cui il torrente Rovaro è stato responsabile in passato. Non a caso siamo anche vicini al Monte Rena – il cui nome identifica la sabbia – a sottolineare la friabilità dei suoi versanti montuosi.
Rova nel XIII secolo era uno degli otto Comuni costituenti la Confederazione di Honio , un’istituzione sovra comunale che aveva il compito di gestire i beni indivisi quali prati, pascoli, boschi, sotto il controllo di un feudatario, incaricato dal vescovo di Bergamo, a sua volta investito dall’imperatore del Sacro Romano Impero.
L’escursione parte da piazza San Mauro a Rova (375m), dove spicca l’antico oratorio di Santa Croce di origini quattrocentesche che oggi è divenuta chiesa dedicata a S. Mauro. A fianco della chiesetta fa bella mostra di sé l’antica fontana di Rova, opera realizzata nel 1830 e poi demolita nei primi anni del secolo scorso e rimasta soltanto nella memoria degli anziani del paese. Dopo uno scrupoloso lavoro di ricerca e di studio degli antichi disegni è stata ricostruita identica all’originale.
Appena superato il ponte sul torrente Rocliscione, che forma la soprastante Val di Plaz, imbocchiamo la via per Orezzo (strada per residenti) che si impenna repentina verso le case alte del borgo. La via corre sul margine della valle e in pochi minuti giunge presso una conca pascoliva dove, sopra una collinetta, si erge la chiesa di san Rocco (480m). Nonostante l’ora mattutina la zona è già invasa dal sole. La chiesa è conosciuta anche con il nome «San Rocco al lago» per via di un laghetto che nei giorni di pioggia molto copiosa si forma nelle sue vicinanze. Nata nel XVI secolo come cappella votiva campestre, durante la peste del 1630 venne utilizzata come lazzaretto. Al suo interno custodisce alcuni interessanti affreschi, opera del 1520 dei pittori Marinoni di Desenzano (per una visita chiedere le chiavi ai vicini custodi).
Seguiamo la strada asfaltata oltre la chiesa e, dopo un tornante, ci immettiamo sulla strada provinciale 42 per Orezzo. Percorriamo pochi metri per imboccare, sulla sinistra, via Gromplano. Si guadagna quota rapidamente fino a sbucare nuovamente sulla provinciale, poco dopo aver superato il cimitero di Orezzo. Attualmente questa stradella, erta e angusta, è diventata l’unica via di accesso al paese a causa di una frana dell’autunno scorso che ha bloccato la strada provinciale creando non pochi disagi alla popolazione. Per una scaletta saliamo fino alla chiesa di Orezzo (680m), che regala una vista panoramica sulla vallata.
Sono molto curiose le disquisizioni sull’origine del nome: quasi certamente si tratta di un termine derivato dal celtico hor o or cioè monte, ma c’è chi lo riferisce alla voce lombarda ör per ciglio, margine e chi invece va a scomodare il gentilizio latino Eburìcius. I più eruditi si rifanno al linguaggio poetico dell’Ariosto in cui orezzo è un venticello fresco, che qui sicuramente soffia sovente ma che risulta di improbabile riferimento toponomastico. Per non parlare di chi ipotizza che il nome sia legato ad aurum (oro), pensando che nel luogo si trovassero delle vene aurifere.
Parlando di “venature” vale invece la pena ricordare la secolare opera di escavazione e lavorazione del marmo nero. Già nel 1400 veniva cavata questa pietra e utilizzata nella costruzione di chiese ed edifici fortificati. Ma è nel 1600 che questa roccia, riconosciute le peculiarità di nero assoluto, con opportuna opera di lavorazione e lucidatura, è assurta a vera eccellenza decorativa in tutta la provincia di Bergamo.
Il Mairone da Ponte, nel lontano 1819, scriveva: «Non v’ha in provincia tempio o chiesa che non abbia lavori di questo marmo». La nobile lavorazione del marmo nero di Orezzo (detto anche di Gazzaniga) si deve ai Manni, abilissimi intarsiatori di origine ticinese che nei secoli XVII e XVIII trasferirono la loro bottega a Gazzaniga per lavorare questo pregevole marmo insieme alle altre importanti rocce cavate in val Seriana: il grigio venato di Nembro, il cinereo striato di Vall’Alta, il bianco rosato di Cene, l’alabastro di Gandino, il rossiccio di Gavarno e il rosso di Ardesio. La cava di marmo nero più importante era quella di Plaz, un pianoro sito nella parte alta dell’omonima valle. Dopo alterne vicende, l’opera di escavazione del marmo nero cessò definitivamente nel 1960. A ricordo di questa eccellenza produttiva, che tanto contribuì a dare lustro a Orezzo e Gazzaniga, nel 2016, nel parco adiacente al comune di Gazzaniga, è stata allestita un’area espositiva permanente all’aperto dedicata al marmo nero.
Aggiriamo la chiesa e saliamo ad immetterci su via Papa Leone XIII, la più importante della frazione, che conserva alcune interessanti testimonianze di un tempo: le case contadine con i balconi di legno rivolti a sud per l’essicazione dei cereali, una grande cisterna interrata ancora funzionante, una casa con una bella architrave lavorata e incisa la data del 1790. Transitiamo accanto alla Cà de la Magra, una sorta di casa museo con ingresso e due terrazzi di legno sovrapposti in cui sono esposti attrezzi del mondo contadino.
Poco oltre la casa imbocchiamo via Dossello, una ripida strada cementata che dopo un paio di curve diviene una scaletta che ci conduce alla contrada Dossello (725m). Questo sparuto nucleo di case, posto su un panoramico poggio tra la Val Vertova e la Val di Plaz, conserva le caratteristiche rurali di un tempo ed è raggiungibile solo a piedi. Meriterebbe un intervento di recupero e valorizzazione. Deviamo per un attimo dal sentiero 523 per raggiungere, in piano, la bella tribulina dei Merèi, costruita nel 1914 come voto da Merelli Giosuè perché i suoi figli scampassero la fucilazione in Albania.
Poco oltre la cappelletta abbandoniamo il sentiero in piano e svoltiamo a sinistra per salire sul crinale e riprendere il sentiero 523. In pochi minuti siamo alla località Oschiolo (800m), un pratone con il bel roccolo e una grande cascina. Proseguiamo sul sentiero 523 che, attraverso il versante meridionale del monte Cedrina, sale alla località Coldré (1085m), altra splendida zona di pascolo posta sul valico di connessione con la Val del Grù.
Questo tratto di mulattiera, storico cammino di collegamento tra Orezzo e Coldré (unica via per raggiungere il Poieto, Ganda, Selvino e la Val Brembana), utilizzato fino alla realizzazione della strada provinciale (primi anni del 1900), è stato impreziosito da un progetto nato nel 2010 e promosso dal Comune di Bergamo in collaborazione con l’Accademia Carrara di belle arti e il Club Alpino Italiano: «Sentieri Creativi». L’idea è di promuovere la montagna, i suoi aspetti caratteristici, le bellezze naturali accompagnando gli escursionisti lungo itinerari inediti, poco conosciuti, ma ugualmente ricchi di fascino e di storia. In questo caso, con il supporto della sottosezione del CAI di Gazzaniga, sono stati installati 14 pannelli illustrativi che arricchiscono il percorso con immagini incantevoli e frasi di autori celebri ispirate alla montagna. Vale la pena soffermarsi ad osservare le splendide fotografie delle Orobie lasciandosi suggestionare dalle parole che le accompagnano.
A Coldré, dopo aver ammirato l’ordine quasi maniacale del roccolo, torniamo ad inerpicarci alla volta del Monte Poieto (dal latino podium, con il significato di piccolo poggio). Si fuoriesce dal bosco in prossimità dei ruderi della stazione di partenza del vecchio skilift per puntare al rifugio. Stiamo risalendo i prati che un tempo ospitavano le piste da sci e subito mi sovviene il ricordo della gara d’istituto di slalom speciale in quinta ginnasio, l’unica della mia vita, conclusa ignobilmente con un salto di porta alla quarta curva … eppure rammento ancora bene l’abbondanza di neve (si arrivava con gli sci ai piedi fino ad Aviatico), le piste impegnative e il magnifico panorama.
Nei giorni feriali invernali il rifugio è chiuso, così ci portiamo direttamente alla cappelletta del Poieto (1360m) per sgranocchiare una barretta e godere dello spettacolo d’intorno. Salutiamo il Poieto e scendiamo lungo il sentiero CAI n° 521 fino alla contrada di Ganda, passando accanto ai contrafforti rocciosi della Cornagera e all’osservatorio astronomico. A Ganda si potrebbe proseguire sul sentiero 521 per tornare velocemente a Rova, ma la bella giornata consiglia di allungare un poco il tragitto. Così scegliamo di deviare verso il Col di Batès (sentiero CAI n°538) e la Conca di Merà.
Nei pressi della chiesa di Ganda i cartelli sono ben evidenti e non c’è rischio di sbagliare. Alcuni rumori di operosità catturano la nostra attenzione, ci avviciniamo: ad accoglierci è Carmine, con la bella barba bianca, indaffarato a sistemare il cavo dell’antenna. Ne approfitta per una pausa e noi per scambiare qualche parola: «Io sono di Vertova, ho passato la fanciullezza in Dasla (valico sopra Vertova, ndr), al roccolo, ed ho bellissimi ricordi. Questa casa è di mia moglie che è nata qui. Abitiamo a Gazzaniga ma saliamo spesso in Ganda. Sono solo quattro le persone che resistono ad abitare qui». Provo a porre alcune domande ma è Carmine, con inaspettata effervescenza, ad andare a ruota libera: «il papà di mia moglie è morto nella cava di marmo nero del Plaz. Chi non lavorava nella cava viveva di pastorizia»…e inizia a citare nomi, luoghi e curiosità, fintanto che veniamo a scoprire che Carmine è stato per molti anni cuoco presso il ristoro degli Alpini in Cavlera (raccomandandoci di provare quella cucina molto rinomata). Poi rientra in casa e ne esce con un libro che racconta la storia di Gazzaniga del ‘900 con numerose cartoline storiche che lui stesso ha collezionato negli anni. Carmine conosce molto bene la sua terra. Ci congediamo da lui sapendo perfettamente a chi rivolgerci la prossima volta che verremo in zona.
Qualche tornantino ripido e poi un lungo traverso in dolce discesa nel bosco ci conducono al Col di Batès, una simpatica collinetta di prato, affacciata sulla valle Seriana, con due belle cascine a proteggerne l’accesso. Al colle scendiamo lungo la ripida strada cementata fino a un tornante dove seguiamo le indicazioni lignee del sentiero dedicato ad Agostino Noris. Giungiamo così nell’amena Conca di Merà. Oltre alle splendide cascine spicca la grande stalla dell’azienda agricola de fratelli Carminati…noto un signore intento a sfilare gli stivali, mi avvicino e chiedo cosa producesse: «formagelle» la replica. Inutile dire che nel mio piccolo zaino c’era giusto giusto lo spazio per una di quelle…
Ancora pochi minuti di discesa ed eccoci, in piano, sulla strada (via Cardinale Gusmini) che ci riporta a Rova.
P.S. l’escursione qui descritta non presenta difficoltà tecniche ed è lunga 15 km con poco più di 1000m di dislivello positivo. Calcolare cinque ore di cammino. Consiglio di partire di buon mattino per godere appieno della luce del primo sole e del tepore dei suoi raggi.
Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli, salvo dove diversamente segnalato