Il tempo è galantuomo, si dice. Sarà, ma è spesso in colpevole ritardo. Ci sono voluti più di quarant’anni, infatti, prima che il film di Nino Martinengo («I valdesi. Un popolo di martiri») venisse ritrovato e riportato alla luce. Sabato 17 febbraio, per la « Festa dell’emancipazione » e in occasione degli 850 anni dalla conversione di Valdo di Lione e dalla nascita del movimento valdese, il lungometraggio verrà trasmesso presso la sede del Centro culturale protestante di Bergamo (via Tasso, 55).
«Nel 1924, il pastore valdese Paolo Bosio commissionò a Nino Martinengo un film che potesse servire a illustrare e a diffondere la storia della chiesa valdese attraverso il cinema – racconta Francesca Tasca, presidente del Centro culturale protestante di Bergamo e professoressa di Lettere presso il liceo scientifico «Mascheroni», nonché coordinatrice della rivista «Riforma e movimenti religiosi» e membro del comitato scientifico del progetto «Routes of Reformation» – La pellicola, però, accusata di vilipendio alla religione di stato e giudicata sovversiva, prima fu sottoposta a censura fascista e poi scomparve nel nulla».
Un film dall’incredibile interesse documentario
Solo negli anni Settanta, a New York, ne venne ritrovata una copia: 35 millimetri di acetato restaurati, attualmente conservati presso il Museo nazionale del cinema di Torino. «Si tratta di una versione americana, divisa in parti distinte – spiega la professoressa, che vanta un dottorato in Storia della Chiesa medievale e dei movimenti ereticali – La prima è dedicata alla ricostruzione storica dei principali eventi legati alle origini del movimento valdese e alle vicende dei secoli successivi: la conversione di Valdo, le persecuzioni, la resistenza al Ducato di Savoia e il “Glorioso rimpatrio”; la seconda, invece, è una serie di riprese dal vero, che testimoniano i luoghi e la vita delle principali comunità valdesi italiane. Pur con inevitabili ingenuità e toni agiografici, il film conserva un incredibile interesse documentario».
La proiezione avverrà alle 17.30 e sarà preceduta, alle ore 17, dall’introduzione di Francesco Giarrusso (esperto di cinema e fotografia) e dai saluti di Maria Girardet (presidente del Consiglio di chiesa). A concludere, alle ore 19, il «Falò della libertà» che, come da tradizione, celebra l’anniversario del giorno in cui, nel 1848, Carlo Alberto di Savoia attraverso lo «Statuto albertino» pose fine a secoli di discriminazioni, concedendo ai valdesi (relegati fino a quel momento nel cosiddetto «ghetto alpino») i diritti civili.
Bibbia e resistenza: «Storia dei valdesi»
Alle ore 18.20 di sabato avverrà anche la presentazione del libro «Storia dei valdesi» (Claudiana, 2024). «È un’opera collettiva in quattro volumi – afferma Tasca – che, attraverso molti nuovi contributi, racconta 850 anni di storia valdese: un’epopea di secolare resistenza, fondata sull’autorità delle Sacre Scritture. Dal Medioevo all’adesione alla Riforma, dalle persecuzioni all’emancipazione, fino alla piena cittadinanza nell’Italia democratica: tra luci e ombre, discontinuità e mutamenti, è il cammino di una comunità radicata nelle valli piemontesi che, sovente, diventa importante tassello all’interno delle vicende internazionali. Io ho curato il primo volume, ovvero la parte che si riferisce all’intervallo di tempo che dal XII giunge al XV secolo».
Ma chi era Valdo di Lione? Ricco possidente francese, nel 1174 vive una radicale conversione religiosa che lo porta a spogliarsi di tutti i suoi averi, per dedicarsi, in totale povertà, alla libera predicazione apostolica, in nome di un profondo rinnovamento spirituale. Presto si uniscono a lui altri seguaci (i cosiddetti pauperes de Lugduno, i «poveri di Lione») ma, nel 1184, papa Lucio III condanna per eresia Valdo e i suoi discepoli itineranti. A seguito di questa sentenza, inizia per i valdesi il momento della persecuzione e della clandestinità.
Nonostante ciò, il movimento si diffonde in tutta Europa e giunge anche a Bergamo, città cardine per gli sviluppi del valdismo. All’interno del Tractatus del cosiddetto Anonimo di Passau (redatto da un inquisitore domenicano, probabilmente fra il 1260 e il 1266), si trova riprodotta una lettera che, originariamente elaborata da una societas dell’orbita valdese di area padana (la societas dei fratres Ytalici), possiede un grandissimo valore storico.
In essa, infatti, vengono riferiti gli esisti di un incontro, avvenuto nel maggio del 1218, nei pressi della città di Bergamo, fra sei rappresentanti dei fratres Ultramontani e sei rappresentanti dei già citati fratres Ytalici. Il motivo? Il desiderio di porre fine alle divisioni che, ormai da tempo, sussistevano fra i seguaci del radicalismo evangelico vissuto da Valdo. L’esito, però, fu vano. «Nove furono i nuclei (dottrinali e organizzativi) portati nella discussione – spiega la professoressa Tasca – Sui primi sette punti, Ytalici e Ultramontani trovarono un’intesa. Sulle ultime due questioni invece (riguardanti le condizioni di validità del sacramento eucaristico e il destino ultraterreno di Valdo), le due parti non raggiunsero l’accordo».
Perché Bergamo?
Eppure, l’incontro di Bergamo non può essere considerato un fallimento. «L’intesa mancata impedì la piena riconciliazione – afferma Tasca – ma fu occasione per meglio definire due diversi modi di concepire e di vivere il valdismo delle origini».
Perimetri di identità nati all’ombra del Campanone. «Il colloquio, oltre a essere importante per la storia del valdismo medievale, è una spia per la storia del capoluogo orobico – dice Tasca – La fondazione, a soli due anni da quell’assemblea valdese, di un convento di domenicani (ordine non soltanto impegnato nella battaglia contro le eresie, ma anche votato all’accoglienza degli eretici convertitisi alla fede cattolica), dimostra quanto la diocesi bergamasca fosse interessata dal fermento religioso dipanatosi dalla Francia. Un fil rouge, quello fra Lione e Bergamo (città inserita, oggi, nell’itinerario “ Strade della Riforma ”, percorso culturale sostenuto dal Consiglio d’Europa), la cui eredità giunge fino all’età moderna e contemporanea. Si pensi, per esempio, alla celebre famiglia Frizzoni: i suoi membri (filantropi dalle idee liberal-progressiste) erano di religione evangelica - dagli anni Trenta del Novecento confluiti nella chiesa valdese - e i loro antenati, commercianti originari del cantone dei Grigioni, provenivano dalla Svizzera».
Un’eredità che negli anni è mutata, senza perdere, però, il suo spirito originario. «I pauperes de Lugduno non sono i valdesi di oggi – afferma Tasca – ma è innegabile che la volontà di rinnovamento che aveva animato gli antichi seguaci di Valdo sopravviva attualmente nelle moderne comunità che, dal 1532, hanno aderito al modello ginevrino del calvinismo. A caratterizzarle, l’annuncio universale del Vangelo (da parte di tutti e per tutti), il ritorno a una chiesa povera e slegata dal potere e, soprattutto, il confronto continuo con la Bibbia».
La speranza, per la docente, è che la storia valdese possa essere conosciuta di più e meglio: «L’evento di sabato, aperto a tutti, è una buona scusa per approfondire e fare luce sulle vicende che, nei secoli, hanno interessato il movimento valdese». Così come un falò fa luce nell’oscurità della notte.