Immaginate un gruppo di quattro amici, tutti rigorosamente “maschi alfa” alla soglia dei 40 anni, che vedono i loro privilegi sgretolarsi a poco a poco, davanti a una società che cambia. Come fare per adattarsi ai nuovi tempi?
Luis è sposato con Esther, interpretata da un’eccezionale Raquel Guerrero. La coppia, genitori di due figli, vive un momento di stallo e cerca di ritrovare la complicità che sembra irrimediabilmente venuta a mancare con il passare del tempo. Raúl (Raúl Camacho) è impegnato in una relazione con la splendida Luz (Kira Mirò), per la quale prova profondi sentimenti. Tuttavia la loro relazione si trova ad affrontare delle sfide quando Luz propone di considerare un’apertura della loro unione.
Pedro (Fernando Gil) è un manager e produttore televisivo di successo che si trova di fronte a un grande cambiamento nella sua vita professionale e personale dopo aver perso il lavoro. Questo evento lo porta a riflettere sul suo ruolo all’interno della famiglia, in particolare con sua moglie Daniela (María Hervás), che assume un ruolo più centrale nella gestione economica e decisionale della famiglia. Santi, interpretato da Gorka Otxoa, è un padre separato con una figlia adolescente di nome Alex, interpretata da Paula Gallego. Dopo la separazione dei genitori, la ragazza cerca di aiutare suo padre a superare il momento difficile, introducendolo nuovamente nel mondo delle relazioni romantiche. Questo processo lo porterà a confrontarsi con situazioni inaspettate e a riconsiderare le sue aspettative sulla vita e sull’amore.
L’ironia che permea tutta la serie nasconde molte riflessioni su come siano cambiati i tempi, ma anche i rapporti di coppia.
Cosa vuol dire essere uomini?
La definizione di « mascolinità tossica » si è evoluta nel tempo. In generale, questo termine richiama un insieme di atteggiamenti e comportamenti socialmente costruiti che vengono associati al maschio, e che possono essere dannosi sia per gli uomini che per le persone che li circondano. Alcune norme culturali diffuse ancora oggi ritengono la dominazione, l’aggressività, l’indifferenza emotiva, la competizione estrema e la soppressione delle emozioni o delle vulnerabilità dei tratti desiderabili o necessari per essere considerati “veri uomini”.
La serie televisiva concepita da Alberto e Laura Caballero parte proprio da qui. «Cosa vuol dire essere uomo? È sempre meno chiaro. Da sempre definiamo la mascolinità in base a ciò che un uomo non vuole essere. Di conseguenza, la sua figura di riferimento è l’eroe solitario e insensibile che vive mille avventure senza impegnarsi con niente e con nessuno». «Essere uomo, è davvero un privilegio? Oppure siamo semplicemente intrappolati nelle aspettative della mascolinità?».
Le domande che «Machos alfa» ci pone sono interessanti, perché chiamano in causa alcune scelte intime con cui le coppie sono chiamate a confrontarsi: la sterilità che mina l’ideale di uomo “macho” e virile, la fecondazione assistita che in qualche modo ne svilisce la potenza, l’abilismo che rende desiderabili i corpi sulla base di precisi ideali di estetica, desiderabilità e conformità rispetto alla norma. È legittimo chiedere a una donna se ha qualche forma di disabilità, prima di presentarsi a un appuntamento al buio? È un’informazione che la controparte dovrebbe sapere? O ancora, è un’informazione che, una volta chiarita, può determinare l’esito del rapporto stesso, seppur sul nascere?
Fin dalle prime scene, la serie televisiva colloca i nostri protagonisti in un gruppo di discussione finalizzato a rinnovare questa idea tradizionale di mascolinità, per contestualizzarla nel XXI secolo. Ma cosa significa esattamente aggiornare un’idea così radicata? Già dopo alcuni episodi e riflessioni a cui si lasciano andare i quattro uomini, infatti, si può notare come alcuni concetti quali la mascolinità e il patriarcato, spesso visti in chiave negativa, derivino da pregiudizi che si sono naturalmente sedimentati nel tempo. Pedro, ad esempio, non presume che ogni persona omosessuale sia per natura sensibile e gentile, perché lo identifica come un pregiudizio. Sottolinea anche come l’educazione ricevuta abbia allontanato gli uomini dall’espressione di tratti considerati femminili, per poi criticarli quando manifestano quelli maschili.
«Machos alfa» si rivela un’opera televisiva brillante e piacevole, ricca di significati anche latenti. Un’opera che naviga con intelligenza, agilità e astuzia, evidenziando la conflittualità di determinati confronti privati, la sfida di relazionarsi quotidianamente con una società diversificata e in continuo cambiamento, e l’enorme complessità di un tema, come quello della mascolinità, dalle mille sfaccettature. La serie riesce in questo intento presentandoci le vicissitudini dei quattro uomini menzionati, senza trascurare le figure femminili — mogli, fidanzate, compagne — anche loro caratterizzate con la stessa verve irriverente tipica degli sceneggiatori Caballero, ma con realismo e sensibilità.
La seconda stagione della serie televisiva è – a mio modesto parere – anche migliore della prima. Di fatto, la narrazione riprende con i quattro (a questo punto otto, includendo le mogli), confermandoci che il gruppo di discussione frequentato dai protagonisti nella prima stagione in realtà non è servito a nulla: non ha destato dei cambiamenti profondi nelle convinzioni dei protagonisti e nei loro comportamenti.
Pedro e i suoi amici continuano imperterriti a mettere in atto comportamenti tendenziosi, maschilisti, con sotterfugi che sembrano, a dire il vero, inasprire le loro posizioni. Qualche esempio? Mentire alle rispettive mogli e compagne, denunciare la responsabile per presunte molestie, chiedere a una donna al primo appuntamento di girare un video in cui dichiara di essere consenziente e di non aver assunto droghe o alcol. La questione del patriarcato e la destrutturazione dei ruoli maschili vengono ulteriormente sdoganate, al punto che verrebbe da contare quante volte ricorrono nei discorsi dei protagonisti le parole «decostruzione», «mascolinità» e «tossico».
Come conciliare vita privata e lavoro?
Il fulcro del dibattito che anima i protagonisti si orienta però altrove. L’idea non è puntare il dito contro le tensioni esistenti, bensì utilizzare queste dinamiche come fondamento per creare umorismo e leggerezza, persino nelle situazioni più spinose dove l’individuo si ritrova in difficoltà. Questo approccio non solo alleggerisce il carico emotivo di certi argomenti, ma apre anche una via per discutere di questioni complesse con un tocco di creatività.
Una delle questioni che vengono alla luce, per esempio, è l’esigenza di trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro, da sempre al centro degli studi sulle differenze di genere. Già nel 1978 la sociologa Laura Balbo pubblicò un articolo illuminante dal titolo «La doppia presenza». Questa espressione rimandava a una doppia presenza nel mondo del lavoro e nella vita privata, che implicava il fondare una parte della propria identità sulla vita familiare. Per esprimere questo concetto si parla oggi non a caso di «bilanciamento vita-lavoro» o tutt’al più di «conciliazione lavoro-famiglia». Ecco allora che tra le annose domande che si pongono le donne di «Machos alfa» (e non solo loro) c’è: si può fare carriera e avere dei figli? E ancora, nella seconda stagione della serie, Pedro tratta il lavoro della sua compagna, che nel frattempo è diventata una influencer che critica negativamente i prodotti per promuoverli, come un lavoro secondario.
Oggi il lavoro continua ad essere un elemento centrale dell’identità maschile, anche se assistiamo sempre di più all’affermarsi di un nuovo stile di vita che implica una maggiore responsabilità genitoriale, rivendicata dai papà anche tra le mura domestiche. Certo, se analizziamo le misure politico-aziendali introdotte finora per conciliare vita e lavoro, appare chiaro come nella sostanza ci sia ancora un focus sulla madre come figura centrale, invece che da affiancare. E dunque viene da chiedersi: queste politiche riproducono o scardinano le ineguaglianze di genere? Alle «donne alfa» l’ardua sentenza.