Prende il via la spedizione italiana in Marocco. L’obiettivo è recuperare, come in un puzzle della preistoria, lo scheletro più completo al mondo di un dinosauro del genere Spinosaurus, diverso da tutti gli altri perché era un predatore semiacquatico con una anatomia bizzarra e ancora in parte sconosciuta. Dal 2013 i paleontologi stanno recuperando i resti in Marocco, anno dopo anno. Questa volta, ad affiancare il gruppo di studiosi, del quale fa parte Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano, ci sono paleontologi dell’università britannica di Portsmouth e quelli dell’università marocchina di Casablanca. Il responsabile del progetto di ricerca è Nizar Ibrahim, dell’università di Portsmouth,
Su ANSA Scienza il diario della spedizione: aggiornamenti con testi e immagini, grazie alla disponibilità di Cristiano Dal Sasso
Finale inatteso e adrenalinico. Rischiamo di perdere il volo di ritorno a causa di un osso misterioso di cui troviamo il "matching element", ovvero quello cui si attacca perfettamente, in università a Casablanca. I due si completano in una forma inequivocabile che non possiamo rivelare ora; è necessario uno studio dettagliato che pubblicheremo prossimamente su una rivista scientifica. Il dibattito non termina neppure in aeroporto, dove informiamo prontamente Nizar Ibrahim che è in partenza per Portsmouth.
Questa non può essere l'ultima spedizione: completare l'identikit dello spinosauro è possibile, non è un sogno campato per aria ma sappiamo dove e come farlo e per noi paleontologi è un dovere professionale cui non potremo sottrarci. Infatti il nostro diario di viaggio non termina con la parola fine, bensì con un arrivederci.
Torniamo a Casablanca con le nuove ossa di spinosauro, che depositeremo in università, e con qualche souvenir di Erfoud, nota per la qualità dei suoi datteri e per la lavorazione artigianale di lastre di pietra scura contenente conchiglie fossili di età paleozoica.
Ci salutiamo con una foto di gruppo, in cui includiamo con riconoscenza anche gli autisti dei fuoristrada che hanno guidato per noi su ogni tipo di terreno.
Attraversando la città-capoluogo di Errachidia, Nizar Ibrahim ci propone uno stop inatteso: sulla facciata di un edificio campeggia uno spinosauro in grandezza naturale. Siamo felici e orgogliosi che qui, nella sua terra, stia diventando una icona popolare, invece del solito T. rex.
E' l'ultimo giorno nel sito dello spinosauro. In poco tempo abbiamo esteso il fronte dello scavo fino a portarlo a 24 metri, ciò nonostante non abbiamo trovato tutto quello che speravamo e la ragione è presto spiegata. In base alle proporzioni delle ossa finora estratte il nostro esemplare era un subadulto, lungo circa 11 metri. Il suo scheletro però si disarticolò e la corrente del fiume sparpagliò le ossa prima che iniziassero a fossilizzare, sicché l'area in cui dobbiamo cercarle è ben più ampia di quegli 11 metri.
La sera si discute sui reperti più significativi e, riesaminata la mappa dei ritrovamenti, si programma di conseguenza la spedizione successiva.
Per la prima volta troviamo un dente in situ e non nel detrito generato dall'erosione naturale del pendio. E' anche il più grande e completo, con lo strato esterno di smalto bello lucido e perfettamente conservato. Siamo praticamente a ridosso della parete verticale scavata dal martello pneumatico e questo ci indica che, molto probabilmente, oltre quella parete di roccia sono intrappolate altre parti del neotipo di Spinosaurus.
A pochi decimetri di distanza, in un nodulo di minerali ferrosi rinveniamo la valva di un mollusco con evidenti coste radiali di ornamentazione. Ci permetteranno di classificarla e dunque di ricostruire meglio il paleoambiente in cui visse e poi fossilizzò il nostro dinosauro.
Quasi a ridosso della parete nord dello scavo, ad una profondità di 4 metri dal profilo originario del pendio vengono alla luce delle vertebre... Ancora due caudali! Se andiamo avanti di questo passo dovremo cambiare le proporzioni corporee degli spinosauri.
Una vertebra si stacca con un solo colpo di scalpello lasciando nel terreno la propria controimpronta. Il corpo vertebrale appare incrostato di minerali ferrosi e si intravede l'inizio della spina neurale, ancora sotterrata e fratturata alla base.
La seconda vertebra invece emerge indeformata dall'arenaria gialla, in cui è completamente immersa da 95 milioni di anni, e ciò nonostante si lascia ripulire con una incredibile facilità. È vertiginoso pensare che riveda la luce del sole così integra, dopo un tempo così lungo da risultare quasi inconcepibile.
L' arco neurale si prolunga obliquamente dietro il corpo vertebrale in una spina lunghissima e sottile: una caratteristica tipica della coda di Spinosaurus scoperta proprio in questo sito da parte del nostro team nelle campagne di scavo precedenti.
Nella porzione centrale dello scavo viene alla luce un elemento caudale dello spinosauro: è uno chevron.
Nei rettili, compresi i dinosauri, le ossa della coda sono composte da tre elementi che si ripetono a catena uno in fila all'altro, diventando sempre più piccoli verso la punta della coda.
Queste tre ossa sono l'arco neurale, che si appoggia come una V rovesciata sul corpo vertebrale, sotto il quale si articola a V l'arco emale - detto anche chevron. Attraverso gli archi neurali transitano i nervi, mentre negli archi emali passano vene e arterie.
In uno scavo paleontologico ben fatto, ogni volta che si trova un nuovo elemento scheletrico questo viene mappato, ovvero disegnato su una mappa misurando a che distanza si trova rispetto alle ossa già ritrovate. Nella foto, ogni quadrato della griglia corrisponde a mezzo metro e ogni colore indica una diversa campagna di scavo.
Intacchiamo il versante sinistro della collina, mezzo metro sopra il livello fossilifero, e dopo neanche mezz'ora saltano fuori due porzioni di costole, incrociate una sopra l'altra. Finalmente, almeno in quella area, deponiamo martello e scalpello per passare a spazzole e pennelli. Seguono altre costole, di cui una, completa e quasi rettilinea, pare essere una cervicale. E' presto per trarre certe conclusioni, ma di fatto la coda l'abbiamo estratta sulla destra, cioè dall'altro fronte dello scavo.
La sera, dopo una doccia assolutamente necessaria per liberarci dalla sabbia cretacea che si infiltra dappertutto, basta fare quattro passi fuori dalla kasbah che ci ospita per incontrare decine di scorpioni fluorescenti.
Sono arrivati i rinforzi: oltre al coordinatore tedesco-marocchino Ibrahim e al suo collega Zouhri da Casablanca, ci sono paleontologi inglesi e giapponesi, un'americana, un rumeno, un geologo del Niger e un preparatore olandese. A team completo siamo in venti, più cinque autisti che oltre a guidare su strade spesso inesistenti fanno anche da facchini e cuochi. Ma sanno anche scavare molto bene...
Sulla destra dello scavo abbiamo raggiunto lo strato da cui negli anni scorsi abbiamo estratto le ossa della coda del neotipo di Spinosaurus, ma oggi non è emerso altro che arenaria (sabbia cementata). Perché non provare anche sul lato sinistro? Dopotutto, lo scheletro finora è apparso molto disarticolato, con ossa qua e là.
Ecco una sezione stratigrafica dello scavo: le ossa del nostro spinosauro sono inglobate nell' arenaria giallastra sottostante l'argilla variegata rosso-bruna. Le striature orientate obliquamente verso sinistra nello strato di arenaria indicano che la corrente del fiume che disperse le ossa dello spinosauro scorreva verso quella direzione. È per noi un prezioso indizio.
Da quassù la vista spazia senza ostacoli, se non quello della curvatura terrestre, fino all'orizzonte. Il Sahara si estende da qui all'Egitto per 3.600 km. Siamo piccolissimi esseri umidi immersi in una massa calda di una enormità quasi inconcepibile, che tende a prosciugarci per osmosi. Per fortuna, pero', ora siamo quasi in inverno e bevendo spesso acqua arricchita di elettroliti compensiamo bene ogni rischio.
Grazie ad un buon lavoro di squadra e ad un nuovo e più potente martello pneumatico, sommando anche quanto fatto ieri riusciamo a rimuovere quasi 12 metri cubi di roccia. È un fango cementato quasi sterile, contiene solo qualche conchiglia e questa carenza di fossili negli strati soprastanti il livello dello spinosauro velocizza ulteriormente le cose. In pratica oggi non facciamo i paleontologi, siamo manovali. Che scavano, comunque, in un passato molto remoto che si chiama Cretaceo.
Sveglia all' alba, carichiamo un generatore e un martello pneumatico. Senza questi, picconi e badili non servono a molto. L'antico letto fluviale in cui si depositò lo scheletro del nostro spinosauro si trova 4-5 metri sotto l'attuale profilo di un pendio roccioso, che andrà quindi inciso a cuneo, profondamente, con mezzi adeguati.
I fuoristrada ci avvicinano all'ultimo chilometro. Da qui in poi bisogna portare su tutto a mano, inclusi molti litri di acqua a testa, prima che il sole diventi cocente.
Anche quest'anno la pioggia ci ha dato un piccolo aiuto, mettendo in luce frammenti infinitesimi del neotipo di Spinosaurus che non avevamo visto prima nel detrito sottostante lo scavo. Nonostante le nostre continue setacciature passate, tra questi frammenti troviamo ancora un dente e un frammento di spina della vela dorsale.
Oggi si parte per il sud. Attraversiamo la catena montuosa dell'Atlante fino ad oltrepassarla a quote superiori ai 2000 metri, dove tra poco nevicherà. A sud-est si estendono i palmeti e poi il deserto del Sahara.
Otto ore programmate di viaggio che diventano dodici, anche perché ci fermiamo qua e là ad esaminare le potenti stratificazioni rocciose che racchiudono ben 600 milioni di anni di storia della vita sulla Terra. Il Marocco è un paradiso per i geologi e i paleontologi, un libro del tempo da sfogliare strato per strato: pochi altri territori al mondo possono vantare una paleo-biodiversità così ampia e continua, che spazia per centinaia di milioni di anni.
Erfoud ci accoglie con un tramonto mozzafiato. Domani, finalmente, con la piena luce del giorno rivedremo il sito dello spinosauro.
Una parte importante del lavoro del paleontologo è la cosiddetta "preparazione", che consiste nell'estrarre i fossili dalla matrice rocciosa che li ha inglobati per milioni di anni. Non ci sono strumenti magici, ma occorre tanta pazienza e manualità nell'uso di scalpelli e attrezzi simili a quelli di un dentista. I frammenti che combaciano vengono poi incollati e consolidati con resine sintetiche; i reperti più delicati vengono conservati in involucri protettivi sagomati all'interno di grandi armadi con scaffali. Questo è anche il caso del nostro spinosauro.
Il laboratorio di paleontologia dell'Università di Casablanca è composto da due sole stanze, ma custodisce una collezione preziosa: qui sono depositate ufficialmente le ossa finora trovate del "neotipo" di Spinosaurus. L'olotipo, cioè il primo, fu distrutto dalle bombe nella seconda guerra mondiale.
Questo è dunque il nuovo esemplare di riferimento. È stato trovato nel sud est del Marocco, a 600 km da qui, nel 2008. Un beduino raccolse le prime ossa, le nostre successive campagne di scavo ne aumentarono il numero. Gli arti posteriori e la coda sono le parti del corpo più complete. Lunga e piatta, la coda serviva come una pinna per nuotare nei grandi fiumi del Cretacico.
Nel ricomporre centinaia di frammenti ossei scopriamo sempre qualche elemento in più. Oggi, per esempio, abbiamo identificato due ossa del cranio.
Ci siamo. Oggi pomeriggio, in meno di tre ore attraverseremo comodamente il Mediterraneo, per atterrare in Nord Africa. Casablanca è da anni il punto di ritrovo delle nostre spedizioni nel Sahara. Dobbiamo ricostruire un puzzle di ossa che hanno ben 95 milioni di anni, ma non le abbiamo ancora tutte. Per questo siamo qui, per cercare quelle che mancano.
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