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Venerdì 18 Ottobre 2013
Priebke? Nota a piè pagina
di Gianlorenzo Barollo
Morto un Priebke... ne dobbiamo proprio fare un altro? Lo si direbbe dal clamore suscitato da sepoltura e «testamento» del nazista centenario, una dichiarazione di non pentimento che ha trovato i soliti plaudenti, pronti a godere di oscurità riflessa.
Morto un Priebke... ne dobbiamo proprio fare un altro? Lo si direbbe dal clamore suscitato da sepoltura e «testamento» del nazista centenario, una dichiarazione di non pentimento che ha trovato i soliti plaudenti, pronti a godere di oscurità riflessa. Ma dove sta la presunta grandezza di un burocrate dello sterminio? L'obiezione classica è «era un soldato e ha obbedito», «non si poteva contraddire il füher». Proviamo allora a metterci dalla parte dei tedeschi dopo l'8 settembre del '43: il patto d'acciaio con l'alleato italico si è liquefatto, ogni uomo armato è una minaccia, la popolazione possibile fonte di sabotaggi e spionaggio. In un simile clima la paranoia nazista monta nella pratica del terrore, nella logica della «terra bruciata».
La strage è quindi una rappresaglia militarmente giustificabile? No, perché c'è stato chi ha avuto la forza di disattendere le direttive hitleriane. Il generale Von Choltitz si rifiutò di distruggere Parigi nell'agosto del '44 e ancora prima molti ufficiali ricusarono la deriva del massacro. È comodo ripararsi dietro un ordine, per assurdo che sia, perché ci libera dal dilemma dell'errore.
Cambiare traiettoria non è da tutti e chi ci riesce malgrado le condizioni avverse ha il diritto di essere chiamato eroe. Forse Priebke lo sapeva e giunto alla soglia fatidica con il fardello di un'occasione mancata ha preferito non sconfessarsi per strappare qualche applauso alla cieca coerenza. Ma nel libro della storia il suo nome non merita che una sbiadita nota a piè pagina.
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