Homepage
Mercoledì 09 Ottobre 2013
Kyenge, il ministro migrante
«L'Italia sta cambiando»
Un lungo applauso ha accolto il ministro per l'integrazione Cecile Kyenge all'auditorium del Seminario. «Siamo orgogliosi e onorati di averla qui - ha detto Daniele Rocchetti delle Acli -. L'abbiamo invitata partendo dalla constatazione dei cambiamenti della nostra società».
Rosa Gelsomino, presidente provinciale Acli avverte: «Non ci illudiamo che bastino buone parole a colmare il disagio del contatto con persone diverse. Il suo lavoro - dice al ministro - ci esorta a narrare alle generazioni future la questione dell'integrazione. Ci fa piacere che questo compito sia stato assegnato ad una donna che di queste questioni non ha sentito solo parlare, ma le ha vissute sulla propria pelle». La ministra è commossa.
«Vedervi così numerosi significa che l'indifferenza non ha vinto. Non sono sola, i temi che porto avanti appartengono a tutti noi. Per lungo tempo le stragi a Lampedusa sono state accompagnate dal silenzio. Oggi quel silenzio deve finire. Chiedo un applauso per chi ci ha lasciato e per i sopravvissuti, per i lampedusani, per le forze dell'ordine. Giorno dopo giorno l'Italia sta cambiando. L'altro non fa paura, basta guardarlo diversamente» ammonisce. E il ruolo delle istituzioni diventa fondamentale, oggi più che mai. «E l'Europa non può ignorarlo».
«Partita con niente»
Gli aneddoti personali arricchiscono la testimonianza del ministro. «Da quando avevo sei anni ho sempre sognato di diventare medico. Dove sono nata non potevo farlo. Ho preso l'aereo da sola con pochi vestiti e un paio di scarpe per arrivare a Roma. Sapevo che il mio sogno si sarebbe realizzato. Ho superato tante difficoltà. Quando Letta mi ha telefonato per affidarmi un ministero che in Italia non era mai esistito, ho avvertito anche il peso dell'enorme responsabilità. Ma le sfide non mi hanno mai fatto paura». Le parole di Gelsomino trovano conferma.
«Quando sono arrivata in Italia avevo una borsa di studio, ma non l'ho mai nemmeno vista - racconta Kyenge -. Non sapevo dove andare a dormire e cosa mangiare. Se il sacerdote al quale ho chiesto aiuto a Roma avesse chiuso la porta a cui ho bussato non sarei qui. Noi non dobbiamo avere paura del diverso, ma piuttosto di chi sfrutta le altre persone. Dobbiamo lottare contro la criminalità organizzata».
La tragedia di Lampedusa torna prepotente nel discorso. «Quando sono andata sull'isola per ogni salma dicevo: questa è una sconfitta per tutti noi. Dobbiamo dare speranza alle persone». La sfida è arrivare all'interazione. Un altro modo per chiamare l'integrazione. E non si possono considerare clandestini coloro che fuggono dalla guerra. Sono profughi in cerca di una vita migliore. «Non dobbiamo pensare al migrante solo quando mette piede sul territorio - insiste da giorni la ministra -. Vanno rafforzati i rapporti con i Paesi di origine. L'integrazione inizia da lì. La persona deve poter scegliere. Di restare, di partire, di uscire da un percorso di sfruttamento».
L'integrazione a scuola
L'integrazione riguarda anche i nostri studenti, le scuole, le università. Un'immigrazione qualificata è una risorsa. Le leggi ci sono, dice Kyenge. «Seguiamo i principi della nostra Costituzione, la Convenzione di Ginevra, abbiamo già tutto, partiamo da lì». Ricordando ai nostri figli che la storia dei migranti non è iniziata oggi, ma ha radici antiche. «Nelle nostre scuole abbiamo dimenticato di spiegare la tragedia di Marcinelle. Diamo ai nostri giovani la memoria. La scuola deve rafforzare l'idea dell'uguaglianza e delle pari opportunità e del diverso». Iniziamo da qui.
Camilla Bianchi
© RIPRODUZIONE RISERVATA