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Venerdì 04 Ottobre 2013
Con l'ironia di Cevoli
sulla crisi si può scherzare
di Matteo Spini
La crisi secondo Paolo Cevoli? Una barzelletta esilarante. Non che il comico romagnolo sia totalmente sprovveduto di sensibilità, tanto da snobbare una delle principali ansie della contemporaneità.
La crisi secondo Paolo Cevoli? Una barzelletta esilarante. Non che il comico romagnolo sia totalmente sprovveduto di sensibilità, tanto da snobbare una delle principali ansie della contemporaneità: anzi, lui il problema lo conosce particolarmente bene, essendo - per sua auto definizione - un imprenditore con l'hobby del cabaret.
Ma il suo modo di ridere sopra tutto e tutti serve a trasformare la faccenda in qualcosa sulla quale sorridere, almeno nella mezz'ora del suo intervento in coda all'assemblea pubblica della Compagnia delle opere di Bergamo. E, così, la crisi non è poi tanto diversa dalla vicenda di Luigi che, con le tasche vuote e un debito da saldare al vicino di casa, non riusciva a dormire, prima che la moglie non svegliasse il creditore trasferendo su di lui angoscia e insonnia.
Una barzelletta di chissà quanti anni fa, quando la parola crisi non andava di moda, anche se, per Cevoli, questa è nata ai tempi di Adamo ed Eva, quando l'uomo capì che la vita era fatta di sacrificio e lavoro. Una serie infinita di freddure, ma anche qualche riflessione sul mondo del lavoro, a cavallo tra il serio e il faceto, con la sua parlantina aggrovigliata su se stessa e con le sue migliaia di parentesi aperte e mai chiuse.
L'esperienza personale colorata da battute a gogò, per esprimere concetti validi in ogni campo, di chi ha iniziato a lavorare a undici anni come cameriere e poi ha aperto un locale, per finire a girare l'Italia con spettacoli di cabaret: «Per quanto riguarda il lavoro, ho scoperto un segreto che valeva ai tempi in cui ero cameriere ed è valido ancora: qualsiasi cosa tu stia facendo, devi farla per fare felici gli altri. Tu sei contento, quando lo è il tuo cliente: per questo il caffè migliore che si possa servire è quello che si porge guardando negli occhi chi l'ha chiesto, creando un rapporto diretto».
Non proprio una cosa scontata, specie se accompagnata da quelli che devono essere i punti cardine di ogni attività: «La capacità di capire il proprio talento e quella di svilupparlo verso l'ambito in cui è più utile, unite ad una buona dose di fortuna», si può sintetizzare parafrasando tutte le parole mangiate e gli intercalari pepati buttati nel mezzo di ogni frase. Perché poi, in fondo, «chi crede che la figura dell'imprenditore sia privilegiata perché non sta sotto nessuno, si sbaglia di grosso. Viceversa, l'imprenditore è quello che dipende maggiormente dagli altri, ovvero da ogni singola componente, l'impiegato come il fattorino». Una serie di verità sulle quali poterci ridere sopra, almeno una volta: anche se, a sentire quella voce, sembrerebbe di avere a che fare con Palmiro Cangini o un qualsiasi bizzarro personaggio da Zelig.
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