Homepage
Mercoledì 28 Agosto 2013
Leghisticamente parlando
di Gian Lorenzo Barollo
Sono bastati otto treni – quelli che si vogliono far sparire sulla Milano-Venezia – per far traballare l'architettura maroniana della macroregione. Il Veneto di Zaia ha deciso di tenere i soldi per sè, ossia leghisticamente parlando a «casa loro».
Sono bastati otto treni – quelli che si vogliono far sparire sulla Milano-Venezia – per far traballare l'architettura maroniana della macroregione. Il Veneto di Zaia ha deciso di tenere i soldi per sè, ossia leghisticamente parlando a «casa loro», fregandosene delle esigenze dei pendolari bergamaschi e bresciani, dei proclami della mobilità ragionata e dei principi di buon vicinato.
Quando si parla di soldi – specie quando in cassa ce ne sono pochi – non si guarda in faccia a nessuno. La macroregione – parola fredda, dal sapore ibrido – trova i suoi limiti pratici prima ancora che ideali nelle ristrettezze economiche generali che spingono gli amministratori a tracciare nuovi confini, ad alzare nuove barricate. Sembra una storia già vista: il ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, il principato di Savoia e poi le rivalità provinciali e le faide cittadine.
Un mosaico di torri, campanili e cinte murarie dove ognuno coltiva il proprio orticello e la paura che qualcuno si freghi il raccolto. Un clima di invidie dove le disgrazie del vicino sono fonte di sollievo: meglio a lui che a me. Quasi si rimpiange la mitica Padania di Bossi: invenzione politica perfetta, luogo fuori dal tempo e dalla storia, che si perpetua nell'immaginario elettorale come ardua promessa di libertà.
Che importa se i padani si sono sempre dimostrati più bravi a pugnalarsi tra loro che a combattere gli «invasori», è il sogno che conta. La macroregione è la sua versione tecnocratica, ma se invece di costruire ponti si alzano steccati, allora non si farà molta strada.
© RIPRODUZIONE RISERVATA