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Giovedì 22 Agosto 2013
Si fa presto a dire giovani
di Gianlorenzo Barollo
Seguivo il discorso del premier Letta al Meeting di Rimini via twitter e quando hanno rilanciato la frase «non lasceremo soli i giovani» si sono scatenati i commenti. «E ai padri di famiglia chi ci pensa? E a chi si ritrova senza lavoro a 40 anni?».
Seguivo il discorso del premier Letta al Meeting di Rimini via twitter e quando hanno rilanciato la frase «non lasceremo soli i giovani» si sono scatenati i commenti. «E ai padri di famiglia chi ci pensa? E a chi si ritrova senza lavoro a 40 anni?».
Ovvio che estrarre una frase dal contesto è rischioso, ma quelle repliche agguerrite e risentite rimettono l'accento sullo scontro generazionale. Un conflitto che nel nostro Paese, a partire dal movimento del '68, ha lasciato sul campo parecchie questioni aperte. In primis nella definizione stessa di giovane.
Chi è il giovane oggi? L'identikit sarebbe quello di uno studente, un ventenne in cerca di lavoro, un individuo che aspira alla propria autonomia, il cosiddetto posto nella società. Da anni però gli ingranaggi che conducono a questo traguardo - studio e lavoro - sono logorati dalla precarietà.
La cinghia di trasmissione che regola il movimento nella vita attiva si è inceppata e chi attende il suo turno resta sulla soglia, mentre chi è avanti - anche negli anni - viene sbalzato fuori pista. Si sono create autentiche trappole che allungano la linea d'ombra dello status di giovane in un limbo senza orizzonti.
Nonostante questo la politica persiste a parlare di interventi per giovani, donne, pensionati e disoccupati. Forse pensando che dividendola per categorie la crisi che paralizza il Paese appaia meno grave di quella che è. «Non vi lasceremo soli», «Nessuno sarà lasciato indietro» ecc. E se invece di tanti contentini per giovani si cominciasse a praticare una politica da adulti?
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