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Sabato 20 Luglio 2013
Gabbana poco Dolce con Milano
Giorgio Gandola
«Fate schifo, vergognatevi». Questione di stile, anzi di stilista. Le parole sono di Stefano Gabbana, infuriato per colpa dell'assessore al Commercio del comune di Milano, Franco D'Alfonso, colpevole di aver tolto la sicura al politicamente corretto.
«Fate schifo, vergognatevi». Questione di stile, anzi di stilista. Le parole sono di Stefano Gabbana, infuriato per colpa dell'assessore al Commercio del comune di Milano, Franco D'Alfonso, colpevole di aver tolto la sicura al politicamente corretto e di avere detto a voce alta ciò che in molti - a torto o a ragione - si permettono di pensare.
Queste le parole dell'assessore che hanno fatto infuriare lo stilista: «Non bisognerebbe concedere spazi simbolo della città a personaggi o marchi famosi che hanno rimediato condanne per fatti odiosi come l'evasione fiscale».
Rigido, addirittura abrasivo secondo la moda del momento. Lontano dall'embrassons nous (volemose bene) che salvaguarda l'immagine dei vip periodicamente in rotta di collisione con l'Agenzia delle entrate. Fu così per Pavarotti, che rimase il numero uno anche dopo lo scandalo dell'evasione fiscale; fu così per Valentino Rossi, al quale nessuno si sogna di ricordare i soldi dimenticati nelle tasche dei pantaloni a Londra.
Il nero è un colore che piace ai nostri campioni della passerella. Ma sottolinearlo gratuitamente, soprattutto richiamandosi a un procedimento ancora aperto, ci sembra massimalista e poco elegante. Nel merito avrebbe poco senso vietare a Dolce e Gabbana di sfilare alla Rotonda della Besana o in Galleria Vittorio Emanuele. Roba antistorica.
Detto questo, la vicenda sfociata nella serrata dei negozi milanesi della griffe ci dovrebbe anche ricordare (di questi tempi) che siamo tutti contribuenti. E a fare schifo non dovrebbero essere, necessariamente, coloro che pure ruvidamente lo rimarcano. Anche se indossano pensieri urticanti e la camicia sbagliata.
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