«No al rimpatrio dei bimbi contesi»
Restano con il padre a Seriate»

La Cassazione e il caso di due bambini che si sono rifiutati di seguire la madre in Ungheria.

Anche se non c’è ancora «un consolidato orientamento giurisprudenziale» che imponga di tenere conto della volontà dei figli minori, «contesi» da genitori che vivono uno in Italia e l’altro all’estero, la Cassazione, sulla scorta delle indicazioni di due fratellini di 10 e 8 anni, nati in Italia da padre italiano e madre ungherese, ha confermato il «no» al loro rimpatrio in Ungheria dove, legalmente, erano andati a vivere con la mamma. Infatti, quando era terminata la relazione della coppia, in base agli accordi raggiunti davanti al Tribunale dei minori di Brescia nel 2013, i figli per i quali era stato disposto l’affidamento condiviso, erano stati collocati presso la madre in Ungheria.

Determinante è stata ritenuta, dagli «ermellini», la circostanza che gli stessi bambini si erano rifiutati di andare via con la mamma che era andata a riprenderli a Seriate nella casa paterna, dato che non avevano fatto ritorno a Budapest al termine del periodo di vacanza in Italia presso il padre. «La volontà contraria manifestata in ordine al proprio rientro da un minorenne che abbia una età e una maturità tali, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, da giustificare il rispetto della sua opinione, può costituire, ai sensi della Convenzione dell’Aja, ipotesi, distintamente valutabile, ostativa all’accoglimento della domanda di rimpatrio», è il principio applicato dai supremi giudici nella sentenza 10817 depositata mercoledì 25 maggio.

Nel caso affrontato, la Cassazione sottolinea inoltre che non si è tenuto solo conto delle dichiarazioni dei minori - «la cui capacità di discernimento risulta positivamente verificata» in sede di ascolto da parte di un giudice onorario «particolarmente qualificato in quanto neuropsichiatra infantile»- ma di una «pluralità di elementi». Tra questi, si cita il verbale dei carabinieri di Seriate del settembre 2014 dal quale risulta che i minori erano «scappati alla vista della madre» ed avevano opposto il loro rifiuto a seguirla, «esternato con pianti ed implorazioni» nonostante il padre «cercasse di convincerli a tornare in Ungheria». Senza successo, Melinda T., mamma dei due piccoli, fratellino e sorellina, ha fatto ricorso alla Cassazione contro il «no»al rimpatrio deciso con decreto dal Tribunale dei minori di Brescia nel 2015 che aveva posto in evidenza «la probabilità di esposizione dei minori a situazioni di rischio dal punto di vista fisico, ma soprattutto psicologico, a causa della condotta materna percepita da loro come punitiva e violenta, caratterizzata da percosse, punizioni corporali, alimentazione non adeguata nonchè in considerazione delle serie difficoltà di inserimento nel nuovo ambiente, anche scolastico.

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