La meraviglia di Padiglione Zero
A Expo pensando al Made in Bergamo

Ha partecipato alla gara di progettazione insieme a due società di ingegneria - milanese e trentina - e ad un’impresa edile, e si è aggiudicato la progettazione definitiva ed esecutiva del Padiglione Zero ed Expo Center.

C’è anche un pezzo di abilità bergamasca in uno dei padiglioni più belli di Expo Milano, forse il più emozionante in assoluto: a lavorare nel Padiglione Zero lo Studio Ro Tre di Bergamo, composto da architetti e ingegneri: «All’interno del Gruppo di Progettazione ci siamo dedicati soprattutto alla progettazione architettonica del Padiglione Zero - spiega Francesco Catalfamo, ingegnere e titolare dello studio -. Il progetto preliminare architettonico è di Michele De Lucchi, la direzione artistica di Davide Rampello».

Tra piante e prospetti, mesi di lungo lavoro e con una specifica complessità: «Padiglione Zero riproduce un pezzo della crosta terrestre, che è sollevata dal terreno e posta in una posizione di preminenza» spiega Catalfamo. Da qui montagne, colline e una grande valle centrale: «L’ispirazione deriva dalla dolcezza del paesaggio dei Colli Euganei, che si rincorrono, uno dopo l’altro, accompagnando lo sguardo in una passeggiata sul loro manto superficiale. I visitatori entrano letteralmente all’interno della crosta terrestre, dove sono riprodotte grotte artificiali che ospitano ciascuna un tema».

La struttura in acciaio è l’ossatura dell’architettura mentre il legno massello ricopre l’intero edificio: «È la materia viva del pianeta ed è quello che meglio trasmette la sensibilità della natura all’uomo contemporaneo». Un lavoro complesso con una struttura portante, travi e pilastri a traliccio in acciaio e una copertura a gradoni in moduli realizzati a veneziana: «La copertura a gradoni ha lo scopo di mettere in relazione geometria e natura, suggerendo una formula con cui il mondo organico/naturale sia geometricamente comprensibile e quindi costruibile, come le curve di livello sanno ben riprodurre -continua l’ingegnere -. La geometria è lo strumento con cui l’uomo può riprodurre la bellezza e la complessità della natura senza scadere nell’imitazione, ma realizzando una costruzione ispirata al paesaggio e schematizzata con razionalità».

In sostanza Bergamo ha reso fattile l’idea, ha realizzato quelle colline in legno, quel degradare dolce: «A tempi record: i lavori sono iniziati nel marzo 2014, si sono svolti regolarmente e sono terminati lo scorso 30 aprile, seguendo la grande e lunga macchina di Expo».

Un lavoro di oltre 10 mila mq: «Padiglione Zero è tra i maggiori di Expo. Poi tutto sarà smontato: si tratta di una struttura multifunzionale con le caratteristiche di una architettura temporanea e pertanto è stato pensato e progettato per essere successivamente smontato, con la possibilità di recupero del materiale impiegato».

In azione a Padiglione Zero anche la Italvideo Service di Filago che si è occupata di tutta la tecnologia applicata nella struttura: «Si tratta delle video installazioni più importanti di Expo - spiega il responsabile del progetto Pietro Fuccio -. In particolare un lavoro incredibile è stato fatto con Panasonic per il muro digitale creato nella prima “stanza” del padiglione».

Il film è quello di Mario Martone: uno schermo di 60 metri di base per 24 metri di altezza, un software dinamico con gestione dei pixel e dei proiettori garantisce la messa in onda della pellicola. «Una tecnologia ad hoc, che abbiamo anche brevettato: la complessità è dovuta dal fatto che quel muro è costellato da pilastri che inframezzano la parete, e dalle distanze variabili dei proiettori. I video, inoltre, sono stati sagomati seguendo la forma ondulata delle colline che il padiglione rappresenta» continua Fuccio, collaboratore dello scenografo Giancarlo Basili e del curatore Davide Rampello.

Sei mesi di lavoro incessante, ma da Filago sono abituati: «È il nostro 5° Expo, complesso anche lo schermo della “Borsa”, con 600 monitor Samsung e un sistema di sincronizzazione di immagini che hanno 12 server al lavoro solo per questa struttura». E poi proiettori, altri filmati sincronizzati, continui controlli di luci e video, «oltre a un impianto audio con un sistema dolby studiato appositamente affinchè il suono del film di Martone possa avvolgere il visitatore, a 180°». Si intitola «Pastorale cilentana»: sedici minuti senza una parola ma con un audio che dice tutto per raccontare sul più grande schermo esistente la caccia, la pesca, l’agricoltura e l’allevamento attraverso le storie recuperate nell’archivio del mondo: la memoria.

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