Mozzo, la Caprese
sposa il Soave

C'è Soave e Soave, lo sappiamo tutti. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ricordo, il Soave era uno dei vini bianchi più quotati in ristoranti e pizzerie di tutta Italia. Poi, mentre in altre zone d'Italia venivano avanti vini sempre più validi, frutto di ricerca in vigneto e in cantina, il Soave passò di moda e su di lui scese il silenzio.

Oggi, da qualche anno ormai, con una cultura del vino che è aumentata, questo vino sta assurgendo a nuovo splendore: non tutto però, perché – come dicevo - c'è Soave e Soave. C'è quello di piccole-medie aziende con vigneti in collina e c'è quello prodotto in pianura in milioni di bottiglie. Tra i due c'è una certa differenza. C'è così il Soave che va bevuto entro 1-2 anni, c'è quello che può tranquillamente invecchiare, migliorando nel tempo, perché alla base c'è la giusta vinificazione, c'è il terreno vulcanico, ci sono le vigne di una certa età, c'è struttura e nerbo nel prodotto, così da renderlo un vero grande vino.

Un esempio del miglior Soave – premiato dai importanti critici enologici ed esportato in ristoranti stellati degli Stati Uniti – l'ho assaggiato partecipando a una cena al ristorante “La Caprese” di Mozzo (Bg), un locale da anni riconosciuto come uno dei migliori esempi di cucina marinara, caprese Doc, insediato nel Nord Italia. I vini dell'azienda agricola Prà Graziano di Monteforte d'Alpone (Vr) sono stati abbinati ai piatti di Bruno Federico, storico patron de “La Caprese”.

Graziano Prà si è così presentato:«Ho avuto la fortuna di ereditare ottimi vigneti: Montegrande, Foscarino, Froscà, Monte Croce, Sant'Antonio, Ponsara, senz'altro alcuni dei migliori cru del territorio, tutti in alta collina. Il mio unico merito è stato quello di aver creduto nelle potenzialità di questi vigneti e di avere aumentato gli ettari di proprietà. La massima cura nella coltivazione dell'uva è il primo obiettivo per ottenere vini di qualità. Soltanto un'uva al massimo del suo stato sanitario è in grado di difendersi autonomamente dalle malattie e di mantenere quindi la sua naturalità».

La cena a “La Caprese” – in cucina la regìa è sempre nelle mani fatate di Giuseppina Federico - è cominciata con una “crudité di pesci all'isolana” in abbinamento a Soave Classico Doc Staforte 2008, una selezione di uve Garganega al 100%, vinificato solo in acciaio, usando anche la tecnica del batonnage (rimescolamento delle vinacce). Il vino ha mostrato tutto il suo nerbo acido e una piacevole sensazione di mineralità. Gli “spaghetti alla Posillipo” sono stati abbinati a Soave Classico Doc Monte Grande 2008, anch'esso, come il precedente, premiato con i 3 Bicchieri del Gambero Rosso. Il vino deriva da un 80% di Garganega e 20% di Trebbiano di Soave. E' un cru, affinato in botti di Allier da 20 ettolitri. Ha dimostrato di poter essere molto longevo e, invecchiando, assumere sentori di buccia d'arancia.

Il “pesce di lenza all'acqua pazza” è stato abbinato a un altro cru, il Soave Classico Doc Colle Sant'Antonio 2007, una vendemmia tardiva 100% Garganega, grappoli selezionati, affinato in botti grandi di Allier. Anche questo Soave Classico ha dimostrato grande versatilità e capacità di invecchiamento. Vino strutturato e di elevato tenore alcolico, va accompagnato a preparazioni egualmente complesse.

Per chiudere non poteva mancare la torta caprese al limone, abbinata al Recioto di Soave 2004, sempre dell'azienda Prà. Una chiusura in bellezza. Alla serata sono intervenuti Marco e Isabella Perego, terza e quarta generazione di esperti commercianti di vino, che da anni hanno l'azienda di Graziano Prà tra le loro migliori referenze. L'abbinamento vini è stato curato da Antonella Federico, sommelier e direttore di sala, figlia di Bruno.

Roberto Vitali

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