L'Editoriale
Martedì 23 Gennaio 2018
Voto, dai vescovi
parole chiare
Parole così chiare e altrettanto severe un capo dei vescovi italiani non le aveva mai usate. Nemmeno ai tempi di Ruini, che pure molte cose alla politica non le ha certo mandate a dire. Ciò che colpisce della prolusione del cardinale Gualtiero Bassetti al Consiglio permanente della Cei, nelle ore in cui si avvia una delle più convulse e mirabolanti campagne elettorali della storia del Paese, è la responsabilità di cui si carica, quella di usare parole sferzanti e un mirino ben preciso per colpire il bersaglio. Il ragionamento sulla razza evoca fantasmi che tutti noi credevamo sepolti per sempre, ha detto Bassetti. Eppure pochi giorni fa lo abbiamo sentito e non è stato un lapsus, perché è questo purtroppo che vogliono gli elettori di quel candidato e anche molti altri che forse mai in passato si sognavano di segnare una crocetta da quelle parti.
I sondaggi gli danno ragione. Bassetti è preoccupato di un Paese che perde la memoria dell’orrore che la semantica della razza ha provocato in Italia, in Europa e nel resto del mondo. C’è chi per anni ha alimentato una cultura della paura in questo Paese e ora, il prossimo 4 marzo, spera di incassare. I voti diventeranno muri e fili spinati e il rancore la misura della politica. Quando Bassetti denuncia la diffusione della «xenofobia» vuole mettere in guardia da una pratica che rischia di diventate normale. Razzisti? Ma va’ là! È questo che si sente ripetere in Italia. Nessuno si considera xenofobo. Tutti si smarcano, assicurando di proteggere solo il popolo italiano. Ma un popolo non ha confini e se qualcuno ritiene il contrario il confine si chiama «apartheid».
Bassetti e la Chiesa che mette i piedi sulle orme di Jorge Mario Bergoglio e cioè nel solco del Vangelo, non può che fare opposizione. Qualcuno potrebbe trovare una contraddizione nelle parole del presidente della Cei. Da una parte dice che la Chiesa non è un partito e non fa politica e dall’altra interviene su tutto. È la solita storia. Ci sono tanti, troppi che vogliono una Chiesa chiusa nelle sagrestie a lucidare arredi sacri e a stirare tovaglie. Di solito si professano cattolici e se ne fanno vanto. Sono quelli che nascondono il Vangelo sotto la sabbia o utilizzano, stravolgendolo, le parti che più fanno comodo al momento presente. Vale per gli immigrati, ma anche per le promesse gettate a piene mani in pasto alla gente. È un modo di fare immorale, ha osservato Bassetti e mai nessuno prima di lui ha osato tanto. È il segno che la misura è colma e che una Chiesa appassionata dell’Italia e del popolo che abita qui non può stare zitta di fronte all’inganno di chi la spara più grossa. Allora è meglio fermarsi a riflettere e cercare di ricomporre l’orizzonte con quello che c’è. È faticoso, a volte penoso perché bisogna respingere molti fuochi fatui, ma è una responsabilità dalla quale non si può sfuggire.
Il presidente dei vescovi ieri si è assunto la responsabilità di proteggere il popolo italiano denunciando chi si procura fama e consenso in questo modo. Aveva il volto teso mentre parlava ai vescovi suoi confratelli e al Paese intero indicando la rotta per chi vuole «ricostruire, ricucire e pacificare» e smetterla con la rabbia, il rancore, il risentimento e le promesse da marinaio. Ha ripetuto una lezione antica e dimenticata eppure inchiodata già da Carlo Collodi nelle mente di tutti quegli studenti delle elementari che oggi hanno qualche anno: «Non ti fidare ragazzo mio di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera, per il solito o sono matti o sono imbroglioni». C’è da riflettere da qui al 4 marzo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA