Veti e ultimatum
Crisi a un passo

Dopo quella del Papeete, nell’estate del 2019, anche quella del gennaio 2021 si avvia ad essere la crisi più pazza del mondo. La più imprevedibile, la più opaca, la meno comprensibile per l’opinione pubblica. Nel pieno della pandemia, a rischio di terza ondata, mentre si avvicina la scadenza per portare a Bruxelles il piano dettagliato dei progetti meritevoli di essere finanziati con ben 209 miliardi di euro messi a disposizione dalla Commissione, con le scuole quasi tutte chiuse, l’economia bloccata e il debito pubblico oltre il 160 per cento, la maggioranza si concede il lusso di una fibrillazione che potrebbe far saltare non solo il governo ma anche la legislatura: con il paradosso di portare gli italiani a stiparsi nei seggi elettorali quando non possono ospitare più di due persone a casa loro per non esporsi ai rischi di contagio.

Tutto dipende dal duello tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, e vedremo chi la spunterà in questa notte appena trascorsa con un Consiglio dei ministri da ultima stagione (in agenda il Recovery Plan da portare in Parlamento) e in questa mattinata in cui si annunciano dichiarazioni definitive di Matteo Renzi. Dei due contendenti, resterà in piedi solo uno, si dice: ma chi dei due? Se Renzi ha agito per far fuori il presidente del Consiglio muovendosi in nome e per conto di due – Zingaretti e Di Maio – che non sopportano più il presenzialismo e i continui rinvii del premier, ebbene sembra aver perso la scommessa. Alla fine, Pd e M5S si sono risolti a mantenere in vita «l’avvocato del popolo» e a cercare un compromesso con Italia Viva fatta di revisione del Recovery Plan, di cessione della delega sui servizi segreti a qualcuno che non sia Conte, di corposo rimpasto di poltrone ministeriali. Ma questo compromesso a Renzi pare che non basti, tant’è che fino a ieri sera continuava a rilanciare su argomenti impossibili (per il M5S) come il ricorso al Mes.

Le strade ipotetiche di questo compromesso prevederebbero una crisi «pilotata» con un nuovo patto tra i partiti e col Capo dello Stato garante. Ma l’avvertimento di Palazzo Chigi poco prima del Consiglio dei ministri di ieri sera è stato netto, molto simile ad un ultimatum: se Italia Viva si sfila, non sarà più possibile un governo insieme. Questo vorrebbe dire che Conte è pronto ad andare in aula e a sfidare Renzi con una conta. Peccato che tutti dicano che non ci sono i numeri per vincere la sfida e che l’operazione di reclutamento di senatori «responsabili» non sia stata un gran successo, al punto che si riparla di un possibile aiutino sottobanco da parte di Forza Italia e di satelliti paraberlusconiani. Ma dove andrebbe un governo tenuto in piedi in questo modo? Sarebbe di una debolezza così accentuata da non poter fare un passo senza essere ricattato da questo o da quello, e Renzi – ormai all’opposizione – se la riderebbe avendo dimostrato la propria indispensabilità. È chiaro che l’ex segretario del Pd, avendo pochi voti elettorali, deve dimostrare – per continuare a rimanere politicamente in vita – di avere una propria centralità parlamentare. Ma a che prezzo? Tutto questo logoramento, questa sfiancante partita a scacchi, questa confusione nel pieno di una emergenza che gli scienziati vorrebbero prolungare fino alla fine di luglio, come potrà essere percepita dall’elettorato se non come un’avventura spericolata, corsara, puramente «di Palazzo»?

Tutto quello che sta accadendo nel governo e nella maggioranza è fieno portato involontariamente alla cascina del centrodestra che non a caso vede – stando agli ultimi sondaggi – crescere i propri consensi, peraltro già maggioritari: persino Forza Italia, segnata da un declino che sembrava irreversibile, è tornata a vedere la doppia cifra del 10%. È una consapevolezza che Zingaretti ha netta, e anche Di Maio, ma che tuttavia non sembra decisiva per fermare un’automobile lanciata pazzescamente verso il dirupo.

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