L'Editoriale
Giovedì 20 Aprile 2017
Vaccini tra bufale
e risposte mancate
Il vaccino contro il papilloma virus umano è disponibile da parte del Servizio sanitario nazionale in due preparati commerciali che agiscono rispettivamente contro 2 e 4 sottotipi della numerosa famiglia del papilloma virus. Il loro impiego è raccomandato e legittimato da molte ricerche che ne indicano l’efficacia antivirale in varie condizioni precliniche e cliniche. La ragione per l’impiego di questo vaccino dipende dalla conoscenza della stretta relazione tra papilloma virus e varie tipologie patologiche, incluso il tumore del collo dell’utero. Il virus viene trasmesso per via sessuale e perciò la vaccinazione è stata raccomandata nella femmina, possibilmente prima dell’inizio dell’attività sessuale. Più recentemente la raccomandazione è stata estesa anche al maschio. Vengono in generale vaccinati ragazze e ragazzi fra i 12 e i 14 anni.
Purtroppo, in Italia la vaccinazione non è molto estesa con un gradiente considerevole fra il Nord con punte di circa il 70% ed il Sud con circa il 30% di copertura vaccinale. Il Piano nazionale per le vaccinazioni include e stimola l’utilizzazione non solo dei vaccini classici, ma anche di questo vaccino contro il papilloma virus. Bisogna tuttavia dire per chiarezza che, mentre è assodata l’attività preventiva delle infezioni, non è affatto stabilito che questa attività diminuisca l’incidenza del tumore. Questo lo sapremo solo fra molti anni, perché il tempo di incubazione fra l’infezione e la comparsa del tumore è relativamente lungo. È questa attuale incertezza a suggerire di non interrompere altre pratiche preventive come ad esempio il noto pap-test o altri strumenti diagnostici. La querelle nata dalla trasmissione Report origina da una impostazione «sopra le righe» e da un po’ di confusione nelle discussioni/forum sorte nei social network e nei mass-media.
In realtà lo spunto da cui è partita la trasmissione è rappresentato da un documento, scritto dal prof. Gøtzsche e firmata anche dal sottoscritto, in cui si lamentava la mancanza di risposta ai numerosi rapporti di effetti tossici ascritti al vaccino. In altre parole, si richiedeva di fare chiarezza, perché il pubblico fosse adeguatamente informato.
Infatti non è sempre facile stabilire un rapporto di causa ed effetto fra la somministrazione di un farmaco, e quindi anche di un vaccino, e la comparsa dei cosiddetti effetti collaterali. Occorre infatti distinguere ciò che è dovuto al farmaco o al vaccino e ciò che in ogni caso sarebbe accaduto, anche senza la somministrazione di questi. Va sottolineato a questo proposito che il vaccino agisce solo sul virus in questione e non è protettivo né per quanto riguarda altre infezioni trasmesse sessualmente, né per quanto riguarda la comparsa di altri stati patologici. Va sempre tenuta presente la «bufala» del rapporto tra vaccinazioni e autismo, che è stata ampiamente smentita da molte ricerche ovviamente ignorate dai detrattori delle vaccinazioni.
Per stabilire un rapporto di causa ed effetto è molto importante operare attraverso la farmacovigilanza «attiva». Non ci si può infatti affidare solo alle informazioni spontanee dei medici e dei pazienti; occorre, invece, andare a valutare attraverso adeguate ricerche epidemiologiche se esista un aumento di una certa sintomatologia e/o patologia nei vaccinati rispetto ai non vaccinati. Questo tipo di ricerca non può essere lasciato solo all’industria, ma deve essere sostenuto da risorse pubbliche e condotto da istituzioni indipendenti. Purtroppo questo tipo di ricerca è poco realizzato, perché è più facile e più accattivante ricercare i benefici piuttosto che la tossicità dei farmaci.
Nessun allarmismo quindi: si continui a vaccinare, ma al tempo stesso non si risparmi la dovuta informazione al pubblico attraverso dati concreti che derivino da una ricerca trasparente.
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