Unioni civili
ora serve riflettere

Nelle prossime settimane il Comune di Bergamo discuterà il regolamento che l’amministrazione Gori sta predisponendo per l’istituzione del registro delle unioni civili, a cui potranno iscriversi «due persone maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso, residenti e coabitanti nel Comune di Bergamo». Scelta per certi versi coraggiosa, se si tien presente che l’insediamento della Giunta di Gori non ha nemmeno un anno, ma che certamente susciterà qualche polemica. La strada che Palazzo Frizzoni intende percorrere si presta tuttavia ad una serie di riflessioni, ponendo anche alcuni interrogativi sui quali sarebbe forse auspicabile un maggior coinvolgimento delle diverse sensibilità che ruotano attorno a questo tema, comprese quelle che della famiglia tradizionale (peraltro prevista e tutelata dalla Costituzione italiana...) ne fanno un cardine imprescindibile della nostra società.

Che il sentire comune non sia sostanzialmente disposto ad ingaggiare chissà quali battaglie in termini culturali sul tema delle coppie di fatto è sotto gli occhi di tutti, ma in una terra come quella bergamasca non si può non riflettere su un’evidente contraddizione espressa proprio su temi come questi: da una parte siamo pronti a prestare aiuto e assistenza in ogni dove e su ogni bisogno, dall’altra sviluppiamo sentimenti di forte chiusura, per non dire di netta contrarietà. Un segno forse, che l’umanesimo che ha fatto grande Bergamo e i bergamaschi continua «meccanicamente» a dare buoni frutti, perdendo però di vista il «cuore» e l’intelligenza che lo hanno innervato da sempre.

Se così fosse ci sarebbe di che preoccuparsi, anche perché , a questo punto, ci si deve porre un interrogativo alquanto pesante: se già oggi la società bergamasca sta subendo un’evidente deriva su aspetti di questa portata, quale sarà la sua trasformazione nei prossimi anni se un istituto fondamentale come la famiglia rischia di essere fortemente penalizzato, se non addirittura snaturato nella sua sostanza più intima?

Piaccia o no, per la Costituzione italiana non può esistere famiglia se questa non è fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ai quali è richiesto un solenne atto formale per la costituzione del nucleo familiare stesso. Non a caso l’uomo e la donna che intendono costituire una famiglia si assumono «coram omnibus» i diritti e i doveri che conseguono alla scelta assunta. È pur vero che a fondare questa concezione ha contribuito l’antropologia cristiana, ma non dimentichiamo che sono la Corte Costituzionale italiana e la Corte di Giustizia Europea a sostenerla con numerose sentenze, anche recenti.

Oggi, invece, con un percorso per così dire a rovescio, con il pretesto di regolamentare un quadro di convivenza sociale e giuridica, si punta a concedere alle coppie di fatto (eterosessuali ed omosessuali) un riconoscimento formale di una serie di diritti che finirebbe inevitabilmente con l’equipararle alle coppie che invece hanno scelto l’istituto del matrimonio, con tutto ciò che ne deriva in termini di diritti (molti sulla carta, pochi nei fatti) e doveri. Il rischio che il matrimonio e la famiglia costituzionale subiscano una drammatica svalutazione è certamente altissimo. Così come sarebbero altissimi i rischi che la nostra società correrebbe se la naturale istituzione del matrimonio - assolutamente vitale e necessaria per l’insieme di tutto il corpo sociale - venisse deteriorata in modo così evidente. Il «disimpegno» sotteso alle unioni di fatto rischia insomma di provocare, negli anni, un pericoloso «terremoto» sociale. Non ne ha fatto mistero lo stesso Papa Francesco, sebbene siano in molti a volergli attribuire aperture spesso assai più ampie di quanto invece non rilevi una rilettura completa del suo pensiero. «Quello che vien proposto - ha detto il Pontefice - non è un matrimonio, ma un’associazione», «forme distruttive e limitative della grandezza della famiglia». Oggi, secondo Papa Bergoglio, «esiste una sorta di relativismo nella concezione del matrimonio, attaccato su tutti i fronti» che «imbastardisce la famiglia». Motivi di riflessione e di preoccupazione ce ne sono dunque più di uno.

Che tutte quelle situazioni che possono risultare irrispettose delle persone e della loro dignità vadano normate è fuor di dubbio, ma equipararle alla famiglia costituzionale è un impoverimento sociale e culturale di cui è impossibile prevedere le conseguenze. Tanto più che anche a Bergamo gli aiuti alla famiglia costituzionale non sono sempre così puntuali e completi, ma spesso rappresentano solo una porzione che tarda a vedere la totalità del disegno . E mentre da una parte si vedono lentezze e dimenticanze, dall’altra si consegna a una certa parte della società l’impegno a venire incontro a molte esigenze sociale e a mettere pezze laddove l’istituzione latita.

Mettere a ruolo il regolamento per il riconoscimento delle unioni civili suona più come il pagamento di una cambiale elettorale che il soddisfacimento di una reale priorità. L’auspicio è che l’occasione si presti invece ad aprire una riflessione seria e approfondita che non dimentichi i reali bisogni della nostra società.

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