Scuola per leader
per il pianeta

Formare una nuova generazione di leader e di giovani attivisti che migliorino il mondo e salvino il pianeta. L’impegno preso da Obama a Milano, nella sua prima uscita pubblica dopo aver lasciato la Casa Bianca, è sicuramente ammirevole. Ci sono però subito due domande. Come mai lui, che ha governato per 8 anni il Paese più potente del mondo, a parte qualche intesa firmata qua e là, non è riuscito a risolvere i problemi ambientali? E poi: quali obiettivi concreti, oltre alla lotta all’inquinamento, dovrebbe porsi la nuova generazione di leader che intende formare?

La sua presidenza non ha prodotto cambiamenti notevoli né per quanto riguarda l’emergenza climatica né la società americana: la sua azione è stata rivolta soprattutto all’economia, alla crescita e allo sviluppo tecnologico. Ha puntato tutto sulla diffusione in ogni angolo del mondo del modello di società basato sul capitalismo e sul consumismo sfrenato, sulla produzione incessante e ossessiva di merci e servizi. Un modello però che, come si è reso conto strada facendo, sta mettendo in pericolo l’ambiente: il pianeta ogni giorno viene saccheggiato in nome del Pil, il progresso tecnologico è indirizzato soprattutto a creare mezzi per incrementare la ricchezza delle nazioni, produrre beni quasi sempre superflui e non a soddisfare o diffondere la sete di conoscenza, bellezza, cultura, arte, felicità che danno un vero valore alla vita umana.

La globalizzazione, come si sostiene ormai da tempo e da più parti, non ha diffuso benessere e felicità in ogni parte del mondo. Anzi, ha prodotto divisioni, allargato le disuguaglianze, scatenato i populismi, diffuso la minaccia terroristica e non ha ridotto le guerre: la dimensione umana, creativa, artistica, solidale è messa in secondo piano da questo modello di sviluppo.

Ben venga, dunque, l’impegno a formare nuovi leader e stimolare i giovani di tutto il mondo a impegnarsi per non rovinare il pianeta, ma serve un nuovo modello di società al quale ispirarsi, che corregga le distorsioni del capitalismo.

Una via alternativa, in questo senso, è proposta dalla teoria della decrescita felice di Serge Latouche: la crisi economica dimostra che il capitalismo ha fallito, che non si può continuare a produrre all’infinito e che l’uomo per essere felice deve ritrovare la dimensione spirituale, estetica, creativa e contemplativa che gli è propria. Ci si concentra così tanto nella produzione che si perde di vista la qualità della vita, ci si affatica così tanto a comprare e ad accumulare che poi non si ha tempo per se stessi e per gustarsi la vita. Insomma, se proprio Obama vuole contribuire a salvare il pianeta crei un’alta scuola di politica che punti all’ideale socratico del dialogo, al rispetto degli altri e della Terra, alla solidarietà, alla riscoperta del bello, alla diffusione della cultura e dell’arte, del sorriso e della pace. Contribuisca a creare una società che accantoni la corsa al consumismo per trovare nelle cose semplici quella felicità che già la dichiarazione d’indipendenza americana del 1776 inseriva tra i diritti dell’uomo.

Oggi l’unico vero leader mondiale che si richiama all’autenticità della vita è il Papa. Nei suoi discorsi e nel modo di fare è vicino alla gente, è empatico, lancia messaggi di amore e solidarietà, sprona all’impegno per la pace, considera l’avidità per il denaro una minaccia per l’umanità e richiama a una vita morigerata, povera ma ricca nello spirito. Ecco, Obama potrebbe cominciare da questi ideali le sue lezioni.

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