L'Editoriale
Venerdì 09 Dicembre 2016
Una guida credibile
al disagio sociale
La globalizzazione è una parola astratta. Bisogna andare per esempio in un magazzino Ikea. Lì si trovano prodotti da ogni angolo del globo a prezzi stracciati. Alle porte di Milano è nato un grande emporio: vi sono solo prodotti cinesi. Alla multinazionale svedese farebbe anche piacere risparmiare sui costi di trasporto e prendere prodotti italiani ma non lo può fare: nel rapporto qualità prezzo non sono convenienti. È un esempio dei tanti. Le ricadute sociali sono evidenti: chiusura di piccole e medie imprese, disoccupazione, riduzione della capacità produttiva.
In breve aumento della povertà e diminuzione dalla capacità di acquisto. Una lunga lista di perdenti che vedono insidiata la loro sicurezza economica e esistenziale dall’avvento del prodotto straniero e dall’emigrazione. È una sensazione diffusa in Europa e negli Stati Uniti. Che fare dunque per dare dignità politica al disagio epocale delle nostre società? I partiti tradizionali hanno perso il contatto con il corpo sociale e faticano a dare senso alle loro iniziative.
In Austria i candidati al ballottaggio del 4 dicembre per la presidenza della Repubblica erano un anziano professore, ex portavoce dei Verdi, e un esponente del partito liberale di protesta antimmigrati e entieuro. Due outsider. I candidati dei maggiori partiti, i popolari e i socialdemocratici sono usciti al primo turno. La cosa stupefacente è però la vittoria del candidato Alexander Van der Bellen, figlio di immigrati estoni, uomo moderato nei toni e nelle opinioni, una lunga carriera accademica alla spalle e un impegno civile e sociale costante. Proprio il contrario del tribuno o dell’affabulatore, lontano da ogni retorica e orgoglio nazionalistico. Un uomo del dialogo, del buon senso, della comprensione. In tempi gridati come i nostri dove la protesta sembra valere solo se urlata e accompagnata da improperi e invettive, un moderato ha affascinato la tribuna elettorale e affermato la forza della ragione al posto dell’estremismo. Era la parola d’ordine dei suoi comizi ed ha vinto.
Il valore aggiunto della vittoria di Alexander Van der Bellen sta nell’aver coinvolto il ceto medio. Proprio la vittima sacrificale della globalizzazione, quella parte della società che ha visto eroso i margini di benessere, che teme per il futuro dei suoi figli perché non in grado di garantire loro le stesse condizioni di vita. Questi spaesati di un mondo che non offre punti di riferimento non si sono lasciati sedurre dal populismo delle rivendicazioni nazionaliste. La morale è dunque una sola: i popoli cercano una guida per uscire dalle difficoltà ma la vogliono credibile. La certezza di affrontare percorsi difficili ma nel rispetto dei valori della nostra tradizione politica. Niente voli pindarici o illusioni di poter scavalcare o aggirare l’ostacolo, ma invece la consapevolezza che una strada accidentata la si percorre meglio se uniti. Nelle difficoltà in cui versa la politica italiana dopo la sconfitta referendaria del governo Renzi, il modello austriaco potrebbe aiutare. Non dividere ma unire è il messaggio. Spiegare alla società intera che la crisi non si risolve con elargizioni elettorali ma solo su un percorso condiviso.
Nessuno si sottrae se è acquisita la certezza che l’esempio viene dall’alto. Quello che è mancato in questi anni è un discorso onesto alla nazione in cui si elencano i problemi di competitività del Paese, le sacche di inefficienze e di parassitismo, la corruzione diffusa, si sceglie una via di risanamento e si fissano le modalità di verifica di quanto pattuito con i cittadini. Per motivare le ragioni degli ultimi nella scala sociale ci vuole la credibilità dei primi.
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