L'Editoriale
Mercoledì 02 Agosto 2017
Una Francia europea
ma pure nazionalista
L’incontro tra la delegazione francese guidata dal ministro dell’Economia Bruno Le Maire, il collega italiano Giancarlo Padoan e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda a Roma è durato mezz’ora. Un viaggio inutile. I francesi avevano fatto saltare nei giorni scorsi il banco sull’acquisizione da parte italiana dei cantieri navali di Saint Nazaire. Un accordo già concordato con la presidenza Hollande che il neo presidente Emmanuel Macron ha affossato. L’hanno fatto in modo offensivo facendo intendere che ai sudcoreani era stato concesso il 66% delle azioni ma agli italiani no, non erano affidabili. Questo spiega perchè nella conferenza stampa il ministro Calenda ha sottolineato la necessità della fiducia reciproca senza la quale non vi è possibilità di intesa. I cantieri della Loira sono passati di mano in questi anni prima ai norvegesi e poi ai coreani. Questi ultimi sono falliti ed è quindi subentrata Fincantieri. Per i francesi si trattava quindi di ricucire un rapporto compromesso per eccesso di arroganza. Da qui la necessità di un viaggio a Canossa per dimostrare buona volontà.
I cantieri Stx hanno ordini per i prossimi anni ma hanno bisogno di un partner industriale. È la solita tattica gallica: l’economia francese non brilla i campioni statali o parastatali di Francia perdono i colpi, ma quando corrono il rischio di essere assorbiti da un gruppo straniero ecco che scatta la clausola dell’interesse nazionale. È negli annali l’opposizione francese all’acquisto da parte degli Agnelli negli anni ’90 dell’acqua minerale Perrier. Quindi il gioco è costringere il partner ad accettare la supervisione dello Stato francese. Nel nostro caso la tutela dell’occupazione e la preservazione delle innovazioni tecnologiche dall’invadenza cinese. Fincantieri collabora con la Cina e quindi si teme una fuga di informazioni.
Questa volta però il governo italiano ha posto la questione della reciprocità. È una novità constatare come un governo fin qui apparso debole su alcuni fronti, come quello di Gentiloni, riesca a tenere il punto su una questione chiave per ogni Stato : la difesa degli interessi nazionali. I governi italiani si sono contraddistinti sinora nell’essere acquiescenti all’invasione straniera. Un grande equivoco faceva credere che liberalizzare le grandi imprese statali fosse di per sé un atto risolutivo. Ma ogni grande impresa è legata al suo territorio e non si può delegare ad altri gli interessi strategici del proprio Paese. Se i francesi temono che Fincantieri in caso di calo del mercato e riduzione delle commesse privilegi Monfalcone a scapito di Saint Nazaire e quindi licenzi in Francia per salvaguardare i posti di lavoro in Italia, perchè non dovrebbero temerlo anche le industrie italiane acquisite dagli stranieri. Ma inebriate dal verbo del libero mercato la politica italiana e la classe dirigente hanno idealizzato il concetto sino a trovarsi senza grandi industrie nazionali in grado di sostenere la competizione globale.
L’Italia non ha peso perchè la sua economia è parcellizzata in tantissime micro imprese che però non hanno peso specifico se non come fornitori dei grandi gruppi industriali che sono tutti fuori dai confini nazionali. Un provincialismo unico in Europa dove liberalizzare vuol dire prima tutelare gli interessi strategici nazionali. Vince chi è più forte. Adesso forse l’abbiamo capito. Sarebbe forse ipotizzabile in Germania, Francia dare a stranieri come Bollorè una società che si chiama Telecom Italia? Una compagnia sulle cui rete passano tutti i segreti di Stato e di governo? Lo schiaffo francese forse è venuto a proposito. La nazione esiste e non si cancella con l’europeismo. Ecco una lezione da imparare.
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