L'Editoriale
Giovedì 19 Gennaio 2017
Un Paese diviso in 2
ora atteso alla prova
Il terremoto si abbatte nuovamente sul Centro Italia e si unisce alla furia degli elementi: neve, ghiaccio, temperature sotto zero, animali intrappolati nella morsa della fame e del freddo, strade interrotte, ferrovie bloccate, nuovi crolli, nuove macerie. La fortuna del Centro Italia è la sua gente straordinaria e fiera che ha già dimostrato, fin dal terremoto d’Abruzzo, di saper resistere alle avversità terribili cui viene sottoposta. Ma la situazione è veramente drammatica anche per questi italiani dalla tempra d’acciaio che non si sono mai lamentati, al di là della giusta indignazione per come è stato gestito il Paeseper decenni senza mai pensare alla prevenzione. Se un monte si chiama «Rotolon» o una località «Pantano» qualcosa vorrà pur dire, diceva il capo della protezione Civile Fabrizio Curcio con una battuta quanto mai vera.
E invece la fame di costruire non si è fermata nemmeno di fronte alla storia locale e al buon senso. Prima delle scosse di ieri c’erano ancora 17 mila persone assistite in cinquanta tendopoli, per non parlare di chi vive in alloggi di fortuna. Dopo il sisma si sono aggiunte altre persone intrappolate nelle roulotte sotto la coltre spessa della neve, sfollate, impossibilitate a recarsi sui luoghi di lavoro, magari costrette per chissà quanti giorni a vivere in auto, per non parlare delle scuole dichiarate inagibili.
Tutto questo sta mettendo sotto pressione un territorio già duramente provato, sempre più isolato e diviso dal resto d’Italia. Il Centro Italia, la cosiddetta «dorsale appenninica centrale», era un modello europeo di convivenza civile e sociale, con il suo alveare di piccole e medie imprese, i suoi borghi ricchi di opere d’arte capaci di attirare turismo da tutto il mondo, la sua qualità della vita altissima. Oggi lo stesso territorio rischia di cadere in ginocchio a causa della furia della natura e soprattutto della mancata previdenza degli uomini del passato. Al punto che il sisma sembra aver innalzato quella divisione che già esiste storicamente tra Nord e Sud. Si sta alzando la linea del malessere e dello squilibrio sociale, quella che divide in due l’Italia, socialmente ed economicamente: la linea sale sempre più a Nord, portata dalle 40 mila scosse che si sono abbattute da agosto sul territorio e che hanno disastrato paesi e città, che hanno cancellato monumenti millenari come la chiesa di San Benedetto, che hanno messo a dura prova la tempra e il morale dei loro abitanti. Il resto lo stanno facendo il freddo e la neve.
Dire che la ricostruzione e la messa in sicurezza del territorio dell’Italia Centrale possono diventare un’opportunità per il rilancio del Paese significa gridare una serie di slogan vuoti se non c’è l’interesse di tutti gli italiani – da Nord a Sud - e la reale volontà del governo. Un primo resoconto dopo lo sciame sismico del 2016 parla di 200 mila immobili lesionati o inagibili, per non dire delle infrastrutture: strade, ferrovie, ponti, sistemi elettrici, idrici, digitali, terreni agricoli, capannoni industriali e quant’altro.
L’Italia ha dimostrato di essere un popolo unito sotto l’aspetto della solidarietà. Tanta gente del Nord è scesa in aiuto delle popolazioni delle Marche, dell’Umbria, del Lazio e dell’Abruzzo, anche di propria iniziativa. Ora l’Italia deve fare di più a livello di «Sistema-Paese»: i sette miliardi e 800 milioni stanziati da qui al 2047 per la messa in sicurezza degli edifici è assolutamente insufficiente per proteggere regioni fragili e martoriate come quelle provate dal sisma e dal maltempo, dove esiste un numero elevatissimo di «zone rosse». La prima cosa da fare è riappropriarsi della guida del territorio, capire perché molti progetti si bloccano, lavorare sulle costruzioni e organizzare un piano organico di ricostruzione in cui il Nord sia di aiuto al Centro Sud. Altrimenti, col prossimo terremoto la «faglia» del dissesto sociale ed economico salirà ancora più su.
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