L'Editoriale
Venerdì 04 Marzo 2016
Un figlio è un dono
Non una conquista
«Chi sono io per giudicare una persona omosessuale?». Prendo a prestito la frase di Papa Francesco non per commentare la vicenda del figlio adottato da Nichi Vendola, ma per cercare di capire cosa è diventato un «figlio» grazie alle tecniche di fecondazione assistita e chi sono oggi i «genitori» vista la possibilità della maternità surrogata.
Che i tempi siano cambiati circa il modo di concepire il senso del generare è palese: il figlio non risulta più «atteso», ma è frutto di un preciso «desiderio». Siamo di fronte a una vera rivoluzione antropologica: il bambino è diventato «il figlio del desiderio», come titola il saggio del filosofo francese Marcel Gauchet. Se prima il figlio era considerato un dono di Dio o della natura, il frutto dell’amore coniugale, un «lieto evento» anche quando era inatteso, d’ora in poi non potrà che essere il risultato di una volontà espressa, di una programmazione e dovrà far parte di un progetto studiato nei minimi particolari.
L’esempio più puro del figlio del desiderio individuale è quello della giovane o meno giovane donna, non sposata, lesbica, che rifiuta qualsiasi rapporto con un uomo e che ottiene il suo bambino grazie a una procreazione assistita. O il figlio desiderato da una coppia di omosessuali che ricorrono a una madre surrogata per poter mettere al mondo quel figlio che hanno previsto per sé.
Appare subito chiaro che la famiglia, formata da una madre e un padre che sono i genitori biologici del bambino, non costituisce più un quadro obbligatorio per la generazione. Non è più la famiglia che fa il figlio, ma è il figlio che fa la «famiglia». Così è possibile che una coppia gay o lesbica si costituisca come «famiglia» attorno al figlio biologico di uno dei partner e l’altro divenga co-genitore o genitore sociale.
Siamo di fronte a un processo di privatizzazione della generazione. Generare un figlio non è più una questione che riguarda la collettività, ma i singoli e i loro desideri. Le unioni civili pensate come un istituto molto simile al matrimonio costituzionale causano un indebolimento sociale del senso della famiglia. Non solo nella percezione del valore della famiglia per le giovani generazioni, ma anche per i diversi vantaggi che questa nuova istituzione effettivamente offre.
Ma soprattutto ciò che farà problema per questi figli sarà come sentirsi accolti per la propria dignità di persona, per il proprio carattere singolare e non invece, come sempre più spesso accade, per il fatto di soddisfare il desiderio di altri. In questo orizzonte di dipendenza viene compromesso il senso della propria unicità e irripetibilità. Se si esiste solo nella misura del desiderio altrui diventa arduo attuare la propria identità di persona libera.
Non si può ignorare nemmeno che sul versante del figlio la presenza di genitori «multipli» rende drammaticamente affollato e confuso l’immaginario deputato alla costruzione dell’identità personale. È già stato fatto notare come il processo di tecnicizzazione e di globalizzazione della vicenda generativa sia destinato, in tempi brevi, a far esplodere la questione dell’identità personale quale questione etica e sociale. «Chi sono io e di chi sono figlio?». A un bambino andrebbero garantite le condizioni migliori perché si senta parte di una famiglia che lo ha accolto come dono, e non debba sentirsi invece oggetto del consumo relazionale di chi lo ha rivendicato come un diritto. Un figlio è sì il frutto del desiderio, ma frutto di un desiderio «sacro», figlio dell’invocazione che fa alzare gli occhi al cielo e aprire il cuore al mistero di una nuova vita che merita il nostro amore senza condizioni.
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