L'Editoriale
Mercoledì 03 Agosto 2016
Turchia e Libia
Se l’Italia si allinea
Se guardiamo giù, verso la sponda Sud del nostro Mediterraneo, abbiamo poche ragioni per rallegrarci. La Tunisia conduce il proprio esperimento democratico tra paure e sussulti, di pochi giorni fa la fiducia ritirata dal Parlamento al governo del premier Habib Essid. La Libia è nel marasma. L’Egitto si affida alle repressioni di Al Sisi. La Siria è affondata nel quinto anno di guerra civile. La Turchia del post-golpe ha scelto di andare all’urto con gli Usa e con la Ue.
Il Mediterraneo ribolle e non si vede interlocutore capace di far calare la temperatura. I due fronti più caldi, oggi, sono la Libia e la Turchia. Gli Usa bombardano Sirte e le postazioni dell’Isis proprio come nel 2011 bombardarono l’esercito di Gheddafi, spalancando le porte del caos. Pesa il sospetto che le bombe americane servano da propellente alla campagna presidenziale di Hillary Clinton. Non si capisce inoltre perché dovrebbe funzionare in Libia ciò che (bombardare l’Isis) non funziona in Siria e in Iraq. Il nostro ministero degli Esteri però si allinea. Approva i raid perché, scrivono i portavoce, «avvengono su richiesta del Governo». Un Governo che non governa, però, insediato dalle potenze occidentali e inviso a una parte consistente dei libici.
Dal ridotto di Ankara, Erdogan scatena le purghe interne e minaccia, un giorno sì e l’altro anche, di annullare l’accordo siglato con l’Europa per la gestione dei flussi migratori. Replica il Gheddafi che all’inizio degli anni Novanta speculava sui profughi e faceva il gradasso nelle nostre capitali. Anche qui: viziavamo Gheddafi, abbiamo viziato Erdogan. Lasciandogli fare tutte le porcherie che voleva in Siria e con l’Isis, difendendolo in ogni modo, garantendogli una copertura di tipo mafioso con la Nato quando entrò in contrasto con la Russia proprio sul confine da cui faceva passare decine di migliaia di foreign fighters.
Noi europei abbiamo sposato Erdogan per interesse, facendogli pure balenare l’ipotesi di un facile ingresso nella Ue. Perché siamo così miopi da non saper elaborare uno straccio di politica per l’immigrazione, problema strutturale e non emergenziale e di cui dovremo occuparci a lungo. E non abbiamo calcolato che anche Erdogan sposava noi per interesse: per i soldi (6 miliardi) e perché entrare in Europa fa gola ancora a molti, checché ne pensino gli inglesi.
Ora sarebbe comodo prendersela con i soliti americani che prima bombardano e poi pensano. Ma questo disastro Mediterraneo ha le sue radici in un peccato originale tutto europeo. Nel 2008 Nicolas Sarkozy, presidente da un anno, approfittò del turno di presidenza francese del Consiglio dell’Unione Europea per lanciare l’Unione per il Mediterraneo, nell’intento di ravvivare la collaborazione tra le due sponde del mare. Sarkozy aveva in mente la grandeur e il vecchio ruolo coloniale della Francia nell’Africa del Nord. E infatti, nel 2011, avviò la folle avventura della guerra contro la Libia, convinto di ricavarne chissà quali vantaggi.
Ma l’Unione era una buona idea e tutti gli altri fecero a gara per sabotarla. La Germania della Merkel, che non voleva ambizioni forti in Europa oltre alle proprie. La Turchia di Erdogan, che voleva entrare in Europa da sola e dalla porta principale. I Paesi del Nord, indifferenti al mare caldo. La stessa Ue, che temeva la nascita di un organismo rivale. In breve: l’Unione per il Mediterraneo finì sotto l’egida della Ue, con l’intesa che non si sarebbe occupata né di immigrazione né di terrorismo. Esattamente i due fronti su cui, come comunità di 28 Paesi (27, quando la Gran Bretagna sarà fuori), oggi ci troviamo più impreparati.
Per cui è chiaro che non si uscirà da questa situazione di instabilità cronica fino a quando l’Europa non si rimetterà in piedi e si darà una politica conscia e matura di governo dello spazio mediterraneo e di gestione dei rapporti con la sponda Sud del mare interno, dove tanta Europa si rivela in forma di lasciti più o meno recenti. L’Italia ha tanto da dare, in questo senso. La tradizione di decenni non è ancora dispersa, la nostra posizione geografica è decisiva per qualunque progetto e qualche colpo (gli eurobond per gestire la crisi e investire nei Paesi d’origine dei migranti) l’abbiamo pur sparato. Ma dobbiamo mostrare di crederci e di essere disposti a «spenderci» per correggere il baricentro politico di questa Unione sempre più nordica e atlantista. Se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno. E se nessuno lo farà, saremo noi, l’Italia, a essere investiti per primi dai problemi. Si chiamino profughi, sicurezza e quant’altro.
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