Trasporti e sanità
Pagano i soliti noti

Digitando nei motori di ricerca di internet le voci «trasporti tagli proteste» e «sanità tagli proteste», si ottiene come risposta la geografia del malessere che serpeggia nelle province italiane. Un milione e mezzo di notizie dei quotidiani locali dal nord al sud trattano l’argomento. In questi giorni il nostro giornale ha dato conto delle ricadute che questi tagli hanno in termini di prestazioni erogate e di disagi creati ai cittadini. È tutto molto razionale ma, come vedremo, non necessariamente giusto. Razionale perché il periodo è quello che è.

Per far quadrare i propri bilanci lo Stato ha impugnato la spada della spending review. Lo chiede l’Europa, ma non solo. La spesa pubblica italiana ammonta a 792 miliardi di euro. In Europa solo Germania, Francia e Gran Bretagna spendono più di noi. Ma il punto è come. Il sito «Linkiesta» in un approfondimento sul tema, ricordava infatti che «l’analisi e il confronto tra la spesa pubblica italiana e quella degli altri Paesi europei è per molti versi sconfortante. Spendiamo meno di tutti gli altri dove più ne avremmo bisogno, ad esempio in cultura, istruzione e sicurezza. Dove spendiamo tanto (burocrazia, soprattutto, ma anche nello smaltimento dei rifiuti e nelle carceri) spendiamo male. Infine, spendiamo talmente tanto nelle pensioni da aver praticamente disintegrato ogni forma alternativa di protezione sociale». Correggere questa linea non è un’operazione facile. E non è solo colpa della politica. L’Italia è un Paese di corporazioni e di interessi acquisiti resistenti al cambiamento. Poi c’è il peso dell’evasione fiscale: ogni anno sottrae alle casse dello Stato oltre 91 miliardi di euro. Inoltre secondo il rapporto della Guardia di Finanza sui danni erariali contestati, nei primi sei mesi del 2015 oltre 3 miliardi di euro sono stati privati alle stesse casse da 4.835 dipendenti pubblici attraverso sperperi, abusi o corruzione, in settori quali ferrovie, corsi di formazione e sanità.

Ieri L’Eco ha pubblicato la notizia dello stop a Bergamo per quest’anno ad alcuni interventi ambulatoriali per la cura degli occhi. Il problema è stato sollevato dalla Palazzolo che ha esaurito il budget 2015, ma riguarda anche altre cliniche private convenzionate. Pronta la replica della Regione, che pubblichiamo oggi: «La riduzione dell’1% dei contratti per le prestazioni ambulatoriali degli erogatori privati, è stata fissata da un legge nazionale». Il riferimento è alla legge 78 dell’agosto 2015 che ha introdotto una stretta per 180 prestazioni di specialistica ambulatoriale, nell’ambito di tagli alla sanità per 2,5 miliardi, per altro non lineari e concordati fra Stato e Regioni.

Ma la Regione ha spazi di manovra e infatti ricorda, con puntiglio ragionieristico, che alla Palazzolo è stato assegnato un budget per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in linea con quanto erogato nel 2014 per tutte le Aziende sanitarie. Il problema è che le esigenze cambiano, anche a fronte di un progressivo invecchiamento della popolazione.

I tagli gravano pure sui trasporti pubblici, come si evince dalle cronache. Con le Manovre di questi anni alla nostra Provincia sono stati decurtati 37 milioni di euro. Gli effetti li misuriamo sul territorio. Ora si attendono correttivi nella prossima legge di Stabilità. Ma l’impressione che se ne ricava è che a far quadrare i conti ci debbano pensare sempre i soliti noti, in un Paese che ha un grande problema di giustizia e di equità sociali.

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