Tragedie familiari
il coraggio di riflettere

Alcuni recenti fatti di cronaca (il padre di Trento che uccide a martellate i figli, il giovane di Alatri massacrato di botte...) lasciano senza parole. Si è tentati di non pensarci, di voltar pagina per riprendere al più presto la vita normale. Sono pazzi, si dice, andiamo avanti e non pensiamo più. Un simile atteggiamento è certamente comprensibile anche se forse esso rischia di trasformarsi in una facile scappatoia. Certo, non ci sono parole per spiegare quanto avvenuto, ma proprio per questo bisogna fermarsi a riflettere, bisogna avere il coraggio di interrogarsi su questi aspetti senza dubbio inquietanti ma al tempo stesso anche sempre presenti all’interno della vita umana.

Dunque, mancano le parole, ma proprio per questo bisogna parlare, bisogna insistere nell’interrogare ciò che appare come inspiegabile. Mi permetto di proporre a tale riguardo due soli spunti di riflessione. Mi capita spesso di citare un passaggio di un testo del filosofo Ernst Cassirer intitolato «Saggio sull’uomo» (1944): «Anche nel campo pratico l’uomo non vive in un mondo di puri fatti secondo i suoi bisogni e i suoi desideri più immediati. Vive, piuttosto, fra emozioni suscitate dall’immaginazione, fra paure e speranze, fra illusioni e disillusioni, fra fantasie e sogni» (Mimesis). Subito dopo il filosofo ricorda anche un aforisma di Epitteto (Manuale, 5): «Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti». Si pensi ad esempio alla famiglia. Anche la famiglia non è un fatto, non è qualcosa di ovvio e di scontato, di naturale nel senso di neutrale, un’istituzione che può andare avanti indipendentemente dalle decisioni dei singoli che la formano.

Questa banale verità dovrebbe portare a riconoscere che la famiglia non è mai un semplice dato ma sempre un complesso risultato, l’esito di un coinvolgimento personale e profondo dei soggetti che sono chiamati ad istituire tale istituzione. Da questo punto di vista, altra banale verità, non basta vivere insieme ed avere una progenie per fare una famiglia; infatti è necessario che coloro che si trovano insieme imparino a vivere insieme, diventando così, con il tempo, sposa e sposo, moglie e marito, madre e padre, figlia e figlio. In tal senso è come se la famiglia fosse una casa sempre da costruire e ricostruire, o più correttamente: è come se fosse una profezia in costante attesa di compimento. Su questi temi si è troppo superficiali; la nostra esperienza non fa che confermare l’interpretazione di Cassirer: noi ci troviamo sempre in un stato emotivo (Heidegger), viviamo sempre fra emozioni suscitate dall’immaginazione, fra paure e speranze, illusioni e disillusioni, fra fantasie e sogni, ed è per questa ragione che il nostro comportamento esige la massima attenzione, la massima serietà, il massimo impegno. Non si può vivere in un luogo così complesso, in quel luogo che è l’umanità stessa, dove il rispondere sostituisce il reagire, dove i sogni si intrecciano con i segni, dove la paura convive con la gioia, senza lavorare e senza impegnarsi, senza «coltivare e custodire», cioè, in ultima istanza, senza abitare: non si può vivere da uomini senza abitare l’umanità, ma l’abitare implica, drammaticamente, lavoro ed impegno. Non bisogna stancarsi di parlare della famiglia, di parlare in famiglia; soprattutto non bisogna stancarsi di interrogarsi sulle seguenti questioni: chi è madre? Chi è padre? Che cosa vuol dire essere sposi? Che cosa significa essere figli?

Eccoci così posti di fronte alla figura del «giudizio» introdotta da Epitteto. I filosofi lo hanno sempre saputo: l’umanità si costituisce come tale non sulla base della sensazione ma su quella del giudizio. Come già sottolineavo, la famiglia - ma in generale questo mi sembra vero per ogni realtà umana, per ogni realtà investita dal particolare modo d’essere dell’uomo - non è indipendente dalla decisione, dunque dal giudizio, di coloro che la compongono. Ma questo giudizio, ecco un ulteriore tratto del dramma dell’uomo, non è mai solo il frutto di una limpida razionalità e di un puro sapere. L’uomo, a meno che non ci si voglia ingannare, non giudica mai solo in base a ciò che pensa e crede, o se si preferisce: ciò che un uomo crede e pensa, e in base al quale per l’appunto giudica, non è mai un mero effetto di una razionalità incontaminata e perfetta. Lo psicoanalista Žižek afferma che l’ideologia liberale si fonda su un’idea di soggetto psicologicamente ben formato, libero da ogni frattura e inquietudine, ricco di potenzialità naturali che attendono di essere attualizzate, un soggetto che sa sempre chi è e che cosa vuole; si tratta di un’idea di uomo senza limiti, senza peccato, senza inconscio, senza paure e dubbi. Un simile uomo non è mai esistito, per fortuna bisogna aggiungere. Dopo aver insistito, contro l’ideologia naturalistica dello spontaneo (come se una famiglia potesse stare in piedi, anche un solo giorno, sulla base di ciò che «si sente dentro»), sull’importanza del giudizio, bisogna dunque anche riconoscere che il giudicare stesso è drammaticamente abitato da ciò che in qualche modo sfugge al controllo di una supposta pura razionalità.

In altre parole, lo stesso «giudicare» non deve trasformarsi in un nuova parola magica il forza della quale si crede di poter risolvere tutto e subito. È per questa ragione che il pensare è sempre un ripensare; l’uomo non può fare a meno di giudicare e progettare, ma al tempo stesso non può fare a meno che sorvegliare costantemente il suo stesso giudicare e progettare. Per far questo ci vuole pazienza, serietà e onestà; mi ripeto: non bisogna stancarsi di affrontare i grandi interrogativi: chi è madre? Chi è padre? Cosa vuol dire essere sposi? Cosa significa essere figli? Bisogna parlare di questo in famiglia; è anche per questo che una famiglia - come lamentano spesso i genitori rivolgendosi ai propri figli, i quali, peraltro, potrebbero tranquillamente rivolgere la stessa accusa ai propri genitori - non è semplicemente un albergo. Un padre che uccide a martellate i propri figli ci lascia senza parole, ma è di fondamentale importanza che un tale silenzio non ci conduca al mutismo. Si ricominci, dunque: che cosa è una famiglia?

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