Tra i due Matteo
spunta un Luigi

Già la chiamano «la sfida dei Mattei». Facile gioco di parole, per via dell’omonimia tra Matteo Renzi e Matteo Salvini. E loro ci stanno, al gioco, e se le danno di santa ragione: «Sei una bestia» ha tuonato il presidente del Consiglio dalla festa dell’Unità parlando di immigrazione. «E tu sei un verme» ha replicato da par suo il successore di Umberto Bossi che non si risparmiava certo sulle parole e ha trasmesso la lezione ai suoi eredi, ancorché poco amati.

Che Salvini ci creda davvero di poter diventare lo sfidante di Renzi alle prossime elezioni politiche a nome del centrodestra lo dimostra il suo debutto di fronte all’elegante platea di Cernobbio, dove è andato a parlare a industriali, finanzieri, banchieri, lobbisti ed economisti radunati come ogni anno dal prestigioso Studio Ambrosetti. Salvini a quelle persone si è presentato come la speranza del fronte no euro, uno di quelli che promettono il paradiso in caso di abbandono della moneta unica. Non è chiaro se li abbia convinti: le cronache parlano di applausi tiepidini; lui però se ne è uscito all’aperto cercando i cronisti per far loro vedere un mazzetto di biglietti da visita: «Buon raccolto» ha commentato.

Sarà. Sta di fatto che sulle sponde del lago, Matteo il Barbaro si è presentato come peggio non si potrebbe: giacca blu spiegazzata un paio di taglie più piccole per la sua pancetta, camiciazza dal colore indefinito con colletto tragicamente aperto, cravatta di stile tardo-jugoslavo, jeans e scarpe sformate. Un disastro, o forse la coerente riproposizione di un personaggio «del popolo» che ama le felpe e lo stile disinvolto da bar sulla tangenziale nord, molto distante dall’aplomb di un futuro aspirante presidente del Consiglio.

«Ma quello lo troveremo» si è fatto sfuggire mentre era impegnato a rintuzzare le critiche di Berlusconi che soffre non poco a considerarlo una specie di erede, o almeno il capo di un futuro destra-centro di cui Forza Italia sarebbe destinata ad essere appena appena la zavorra. «Lo deciderà il popolo» scandisce Matteo che, guascone, non si spaventa di niente, nemmeno di rimbrottare il Papa per l’esortazione ad accogliere i migranti («Se li prenda a casa sua»), di parlare di vescovi comunisti e di fare il giamburrasca ogni volta che può.

Bene, andiamo davvero alla «Guerra dei Mattei»? Probabilmente Renzi lo spera: un centrodestra a trazione leghista potrebbe spaventare l’elettorato moderato che non cerca avventure ma desidera solo stabilità e lavoro, e una deriva «estremistica» alla Salvini potrebbe far decidere molti elettori a favore del democristiano, moderato Renzi che si è mostrato allergico alle parole d’ordine della Cgil, della vecchia sinistra, persino del politicamente corretto. Il punto debole di Renzi è proprio l’immigrazione dove invece la propaganda leghista può fare molti proseliti (ma non a Sud, dove pare che i sondaggi della nuova Lega «nazionale» non siano soddisfacenti).

È pur vero che la politica umanitaria scelta ultimamente dai governi tedesco e austriaco porta

acqua al mulino renziano mentre Salvini deve schierarsi con l’ungherese premier di estrema destra Orban, che ha fatto usare i gas urticanti contro i rifugiati siriani. Inoltre Renzi può sperare che Salvini e i grillini si disputino il consenso di chi non vuole gli immigrati in casa, visto che il loro elettorato è contiguo e spesso coincidente. E allora siamo davvero al dubbio su chi sarà il futuro sfidante di Renzi: l’«altro» Matteo, il guascone leghista, o quel giovanotto ben pettinato, coi pantaloni ben stirati, dall’eloquio felpato, figlio di una famiglia democristiana del Sud, che si chiama Luigi di Maio e che Grillo medita di lanciare nel firmamento politico come numero uno del Movimento Cinque Stelle?

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