L'Editoriale
Lunedì 13 Novembre 2017
Torna l’incubo sassi
dal cavalcavia
Come un incubo allucinante e improvviso che ci sorprende in un sonno leggero rispuntano in Italia i lanci di sassi dal cavalcavia. Una madre di famiglia è morta di infarto dopo che un blocco di calcestruzzo aveva centrato il parabrezza dell’auto su cui viaggiavano altre quattro persone, sulla strada provinciale di Cernusco sul Naviglio, di ritorno da Pontirolo Nuovo. Lo stesso giorno sulla tangenziale di Torino un camion è stato colpito da un sasso lanciato in analoghe circostanze. L’autista è vivo per miracolo. Qualche ora dopo due diciassettenni sono stati sorpresi a tirare pietre sulla A 20 Palermo-Messina e arrestati.
Chiunque abbia preso sul parabrezza della sua macchina un sassolino perso da un camion che viaggiava davanti a sé può farsi l’idea dell’impatto devastante e spaventoso di un masso lanciato su un’auto in corsa. Le perizie di un precedente episodio, che ha portato alla morte di una donna, riguardante un masso di 2,7 chili buttato da un cavalcavia, parlano di un’energia pari a 150 chilogrammi, venti volte superiore a quella necessaria a rompere il vetro.
Si tratta di episodi criminali quanto folli, soggetti a un’emulazione incontrollabile. Al tempo del cosiddetto delitto della Cavallosa, quando la «banda dei sassi», composta da quattro giovani, uccise la trentenne Maria Letizia Berdini sull’auto guidata dal marito mentre percorrevano la Torino-Piacenza, nei giorni seguenti si verificò una catena allucinante di episodi simili, una vera e propria «pioggia di sassi», oltre 400, con 266 auto danneggiate e 83 persone denunciate.
Per questo verrebbe la tentazione di censurare questo genere di notizie, ma è impossibile, il circo dei mass media, oltretutto nell’epoca dei social network, è troppo imponente, diffuso e capillare per poterlo fare, oltretutto gli inquirenti hanno ammesso che in passato il contributo della stampa è stato utile alle indagini. Meglio analizzare il fenomeno e capire come questo scenario sconcertante sia riapparso all’orizzonte dopo anni di silenzio, quando ne avremmo fatto volentieri a meno e ci pareva un fenomeno debellato degli anni Novanta.
Quello di Maria Letizia Berdini, il 27 dicembre 1996, sconvolse l’Italia. Ma non è stato il primo delitto del cavalcavia. Prima di allora c’erano stati ben sei morti, tra cui una bambina di due mesi e mezzo, uccisa da un blocco di calcestruzzo il 2 aprile 1986 mentre viaggiava in braccio alla madre su una Fiat 127 sulla Milano-Lentate sul Seveso. Non si tratta di un fenomeno italiano. Anche in Gran Bretagna, Francia e Svizzera ci sono stati episodi analoghi, anche con feriti, ma non hanno mai portato a vittime. Dunque l’Italia può «vantare» questo odioso primato.
Le motivazioni di questo tragico tiro a segno sono sempre le stesse. I quattro giovani condannati per il delitto della Cavallosa che sconvolse tutta Tortona avevano agito «per scacciare la noia, non sapendo come trascorrere una serata d’inverno nel periodo natalizio», recita la sentenza che li ha condannati in ultimo grado a 18 anni e quattro mesi. Pare che fosse un gioco, tipo roulette russa, che da quelle parti durava da tempo. Si tratta di omicidi senza movente, di atti mostruosi dettati dalla noia e da altre motivazioni futili, come in Arancia Meccanica o nei «Delitti esemplari», futili e inutili, narrati dallo scrittore spagnolo Max Aub. Ecco perché le risposte devono essere altrettanto esemplari. La risposta delle forze dell’ordine c’è stata ed è sempre stata efficace, insieme alle condanne severe, tese a scacciare il veleno dell’emulazione, così come la protezione dei cavalcavia con reti che impediscono il lancio. Il resto fa parte della nostra cultura e di quel vuoto esistenziale che richiederebbe ben più di un articolo.
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