L'Editoriale
Domenica 12 Novembre 2017
Titoli tossici
e rigore tedesco
Si calcola che i derivati e in generale tutti gli asset illiquidi delle grandi banche in Europa siano giganteschi. Sono quei titoli cosiddetti tossici rimasti in carico agli istituti bancari dopo la crisi del 2008. Tanto per dare un’idea Deutsche Bank ha a fine 2014 ben 31 miliardi di titoli non valutabili dal mercato, la metà dell’intero capitale della banca. Per Barclays i titoli illiquidi sono addirittura l’80% del patrimonio. Per Bnp Paribas nel 2014 ammontano al 39% dell’intero capitale della banca. Per Commerbank i titoli in questione sono al 24% del patrimonio. Per il Credit Suisse il 79% del capitale. In Europa non se ne parla volentieri.
Viceversa l’attenzione è tutta concentrata sulle sofferenze poste in essere dalla mancata crescita degli ultimi dieci anni. Anni di recessione con il Pil caduto del 10%, i fatturati contratti del 25%, aziende fallite, posti di lavoro andati persi, redditi calati, tutto questo ha reso i crediti concessi a famiglie e imprese per molte banche inesigibili.
Un fenomeno che colpisce soprattutto l’economia italiana. In ragione anche di un certo provincialismo, in questo caso quanto mai provvido, gli istituti bancari negli anni Novanta e nei primi del nuovo secolo non si sono esposti alla finanza cosiddetta creativa, quella degli algoritmi e della conseguente bolla immobiliare.
Una solidità che non costrinse il governo a intervenire come invece dovette fare Angela Merkel per garantire il sistema bancario tedesco. Senonché il vento è cambiato e adesso le sofferenze nette, cioè i crediti a rischio secondo dati Abi, ammontano a circa 66 miliardi. La vigilanza della Banca centrale europea guidata da Danièle Nouy si è concentrata su questi ultimi e sembra dimenticare i ben più pesanti carichi che gravano sui bilanci bancari a causa dei titoli tossici.
Questa è l’accusa mossa dal governo italiano, da Banca d’Italia ed ora anche dal Parlamento europeo per bocca del suo presidente l’italiano Antonio Tajani. Perché dunque questa distrofia da parte della Vigilanza e della Bce guidata da Mario Draghi? Ancora una volta occorre rivolgere lo sguardo a Berlino. In Germania dopo le elezioni del 24 settembre scorso non vi è ancora un governo operativo mentre fervono i colloqui per la definizione della nuova coalizione con cristiano democratici, verdi e liberali. Questi ultimi premono per un’accentuazione della politica di rigore verso i Paesi a forte debito.
L’idea di fondo è di impedire che eventuali debiti bancari europei vadano a cadere sulle spalle del contribuente tedesco. Per qualsiasi partito voti l’elettore in Germania ha un’opinione condivisa: gli sprechi, il familismo, il nepotismo, la corruzione, il capitalismo di relazione italiano e quindi gli scandali bancari recenti sono di competenza del Paese che li ha generati. Non può esserci benevolenza per chi truffa e inganna, ognuno deve rispondere dei suoi errori. Che poi questi dissesti mettano in pericolo la stabilità del sistema è un rischio che si deve correre, perché le lezioni si imparano solo se vissute sulla propria pelle. Come si vede nulla è cambiato dell’approccio tedesco e non cambierà con il nuovo governo che Angela Merkel si appresta a varare. La signora Nouy sente soffiare il vento freddo di Berlino e pensa di muoversi di conseguenza. Ha trovato sulla sua strada un Parlamento europeo che approfitta dell’impasse politica tedesca per rivendicare più spazi di intervento e quindi una sovranità legislativa anche nel settore bancario. Angela Merkel e i suoi alleati liberali auspicano una nuova governance dell’euro che anche gli italiani condividono, si chiama Unione di bilancio e comporta una comune politica economica di indirizzo in Europa.
Una cosa però la politica italiana deve avere chiaro: non si può pretendere di mettere in comune una parte del debito, la crescita, la politica sociale di assistenza, senza garantire a chi condivide le sorti italiane, e quindi presta fiducia, una verifica sulle spese, cioè di come si spende denaro: che a questo punto non è solo italiano, ma di tutti. L’impegno settennale dei fondi europei per l’Italia è di 17,6 miliardi di euro . Vogliamo distribuirli a pioggia tra i vari soggetti spesso con criteri clientelari o invece ci concentriamo su progetti strategici che producano nel tempo una migliore qualificazione professionale ed uno sviluppo della ricerca aziendale? E cosa occorre fare per evitare che poi tutto si vanifichi nell’inefficienza e nella corruzione della pratica amministrativa ? Ecco qualche domanda buona per la prossime elezioni in Italia.
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