L'Editoriale
Domenica 29 Novembre 2015
Terrorismo e povertà
Lo spariglio del Papa
La missione africana di Jorge Mario Bergoglio è servita per attirare l’attenzione del mondo sull’Africa e su chi continua a sfruttarla senza alcun pudore? Lui è andato in Kenya e in Uganda e da questa mattina è a Bangui, Repubblica Centrafricana, lo Stato più povero del continente, per lanciare di nuovo la sfida al vuoto di strategie, all’incapacità di vedere oltre agli immediati e, naturalmente, avidi interessi delle nazioni ricche, quelle che decidono le regole della vita e della morte dell’Africa con la complicità dei corrotti regimi del continente. Ha parlato al mondo e ha parlato all’Africa, scongiurandola di non lasciarsi depredare.
Ha tentato di scardinare l’indifferenza e si è applicato all’impresa con molta forza e impegno. Lo ha fatto fin dall’inizio a bordo dell’aereo che volava da Roma, sparigliando le carte con la battuta sulle zanzare e mandando un messaggio chiaro: lui non ha paura degli uomini, neppure dei terroristi. Anzi ha detto di più e cioè che se c’è un pericolo va affrontato, per evitare che ci possa sopraffare. Esattamente come ha fatto.
Ci sarà sicuramente chi lo considera un irresponsabile per i suoi sorrisi disarmanti, la scelta di andare in giro per l’Africa senza auto blindata con il finestrino aperto e nemmeno con un giubbotto antiproiettile come fece Matteo Renzi proprio in Kenya. La forza di Bergoglio, quella che lo protegge, è chiamare le cose con il nome proprio e stare dalla parte di chi le scelte scellerate le deve sempre e solo subire.
Bergoglio è l’unico ad avere la percezione reale e netta della vera posta in gioco. Se tutti gli altri leader mondiali ripetono che alla base del terrorismo c’è l’ideologia distorta dei fondamentalismi e si attrezzano militarmente per contrastarlo, lui è di un’altra opinione. E per rafforzarla è andato a spiegarla in Africa. Ha detto che «il terrorismo si alimenta di paura e povertà». La colpa è di chi continua a sfruttare l’Africa, di chi deruba gli africani in casa loro e li costringe a fuggire e poi s’indigna per le migrazioni. È la frantumazione dei popoli, il tribalismo locale e internazionale di chi tiene sempre una mano con una pietra nascosta dietro la schiena, ha detto Bergoglio in Kenya, che apre la porta ai fondamentalisti.
Ingenuo, superficiale e di nuovo irresponsabile? Tutte queste cose le aveva già scritte nella Laudato si’ con brutale chiarezza e da allora le ripete con nuove coniugazioni e gesti. Perché ormai è evidente che il Papa intende dettare l’agenda internazionale, nel senso di tener desta l’attenzione. Il suo non è affatto buonismo francescano, come i suoi detrattori sostengono, ma una posizione politica pesante. Bergoglio non va a Parigi, ma si può dire che la conferenza sul clima l’ha aperta lui a Nairobi, mettendo in guardia dagli «interessi particolari» che potrebbero far naufragare la Conferenza come è già accaduto in passato o raggiungere solo un’intesa a parole che non comporta cambiamenti veri negli stili di vita e nell’esercizio del potere.
Parigi per Papa Francesco è un appuntamento strategico per tutta l’umanità e dall’Africa lo ha detto a muso duro, riportando il continente nel paradigma globale dal quale è stata da tempo espulsa, denunciando di nuovo la tecno-finanza e la cricca dei profittatori internazionali e locali e rilanciando al contempo quei valori «che non si quotano in Borsa». Infine la Chiesa. La decisione di aprire l’Anno santo a Bangui è una indicazione ben precisa: la chiave di Pietro non va più custodita a Roma. Il centro è in periferia. I numeri delle vocazioni della Chiese d’Africa danno ragione al Papa. E con le periferie bisogna fare i conti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA