Tenaris può vincere
col fattore umano

I risultati, numericamente e percentualmente impressionanti, di Tenaris sono solo uno dei risvolti, in questo caso perversi, di un’epoca, quella che viviamo, in cui il mondo sembra capovolto rispetto ad alcune nostre antiche credenze collettive. Siamo infatti in una congiuntura (o in una nuova fase strutturale? questo è l’interrogativo più inquietante) in cui saltano tutti i presupposti che la saggezza popolare dava per scontati.

Due, tra tutti: che l’inflazione fosse un flagello sociale e che la disgrazia italiana più grave fosse l’impossibilità di accedere direttamente al petrolio, penultimo motore della modernità, prima dell’avvento del web. Mai avremmo pensato di dover fare il tifo - in buona compagnia, perchè é Mario Draghi che ha fissato l’asticella ad almeno il 2%, - per una inflazione in crescita, e men che mai di dolerci per un costo del petrolio crollato a livelli che neppure negli anni 70, tempi in cui il Governo per la prima volta ci mandò a piedi la domenica. Ma per risparmio, non per ambizione ecologista, che talvolta sembra un lusso o il narcisismo a buon mercato di qualche Comune che non si accorda con quello vicino.

Abituati a considerare il petrolio solo per il suo costo raffinato alla pompa, siamo sempre a lamentarci che la benzina sia ancora così cara, auspicando una discesa del litro che peraltro comprimerebbe ancor di più la bassa inflazione, in un circolo dannatamente vizioso. Ma l’economia é globale e non c’é solo la benzina della nostra auto.

C’è per l’appunto un indotto gigantesco, che giunge fino a lambire la forza d’acciaio di una grande azienda multinazionale ma innanzitutto bergamasca, come Tenaris, che noi chiamiamo ancora Dalmine, simbolo di straordinario successo sia pubblico che il privato. Un pezzo della nostra memoria collettiva, uno sguardo rassicurante a sinistra dell’autostrada, prima di darlo a destra là dove un Km rosso ci testimonia che Bergamo muta, innova, ricerca. Elementi che sono gli stessi ad avere fatto la fortuna della Dalmine. Là dove i cugini bresciani fondevano il ferro come se fosse burro, noi inventavamo il futuro dei tubi di acciaio e portavamo un brevetto in testa al mondo intero, irraggiungibili.

Oggi, tutto questo ci si ritorce contro in un contrappasso immeritato. Gli americano hanno spremuto le rocce come limoni, e il resto l’ha fatto la maledetta crisi infinita.Là dove servivano tubature che scendessero negli abissi, o li traversassero come neanche Giulio Verne avrebbe immaginato, ora buttano l’ancora inerti petroliere che non sanno dove scaricare l’ex oro nero. Mentre gli sceicchi arabi, senza che li si possa compatire, stringono un po’ la cinghia e i loro rampolli rinunciano all’acquisto di un calciatore, noi dobbiamo preoccuparci per una straordinaria storia d’impresa, quasi secolare . E, Dio non voglia, per una nuova pagina difficile della nostra occupazione, che pure negli anni della crisi ha tenuto perchè la vecchia buona manifattura ha retto nonostante tutto.

E qui allora dobbiamo far appello ad una dinastia imprenditoriale, quella della famiglia Rocca, e soprattutto alla cultura industriale che ne ha caratterizzato l’ascesa. Siamo fiduciosi, non per ingenuità ma per convinzione, che Tenaris possa superare questo momento. Può e deve aiutare un dialogo con il sindacato costruito nei tempi buoni, che può venire molto utile nei tempi difficili.La radice umana e la capacità di basare su di essa un’idea forte del lavoro dovranno continuare a contare. Nell’epoca delle bolle finanziarie e dei castelli di soldi costruiti sui soldi, c’è qualcosa di solido li a Dalmine. Nei laminatoi ma anche nei laboratori.

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