L'Editoriale
Martedì 01 Ottobre 2019
Stop aumento Iva
Il governo tiene
Il governo è riuscito a non regalare all’opposizione una bandiera da sventolare. Matteo Salvini non potrà protestare nelle piazze delle regioni dove tra poco si voterà, che il Conte-bis ha tradito la promessa di non aumentare l’Iva. Infatti l’Iva non aumenterà: è scritto nero su bianco nella Nota di aggiornamento del Def varata ieri a tarda sera dal Consiglio dei ministri come quadro generale della manovra economica 2020. I 23 miliardi sono stati trovati, almeno formalmente, e sono stati respinti i tentativi del ministro Gualtieri di attutire il peso di quella massa di risorse aumentando almeno l’aliquota per qualche genere di lusso, magari diminuendola per i beni di prima necessità.
Si era calcolato che così facendo dai portafogli dei contribuenti sarebbero arrivati almeno 5, se non 7, miliardi da scalare dai 23. A bloccare la misura sono stati, insieme, Di Maio e Renzi, minacciando entrambi di non votare la manovra che così sarebbe rimasta senza padre né madre, con i soli Pd e Conte a difenderla. Lo scontro nel vertice della notte tra domenica e lunedì ha portato a questo risultato con strascico polemico tutto tra democratici ed ex democratici, con scambio di accuse tra Franceschini, Renzi e il deputato-economista di quest’ultimo Marattin.
Sta di fatto che M5S e IV hanno messo nell’angolo il Pd che non poteva certo fare la figura di essere l’unico a voler tassare gli italiani. I quali tuttavia saranno comunque tassati un poco di più: per esempio arriveranno quasi due miliardi dal taglio degli incentivi all’energia dannosa (chi lo spiegherà alla Coldiretti che l’altro giorno a Vicenza ha applaudito Conte, che dovrà rinunciare agli sconti sul carburante agricolo? E chi lo dirà agli autotrasportatori, sempre inclini a bloccare strade autostrade con i loro bestioni quando si toccano i contributi al carburante?). Già questo motiva comunque l’attacco di Salvini: «È una truffa!», ha cominciato a twittare ieri sera, anche se – come detto – non gli è stata concessa la vera chance polemica che si aspettava.
La manovra si muove su una flessibilità di circa 14 miliardi che vuol dire un deficit al 2,2 per cento, soglia su cui Gualtieri si è già accertato che ci sarà il via libera di Bruxelles – nel caso specifico rappresentata da Paolo Gentiloni che proprio dopodomani sosterrà «l’esame» del Parlamento europeo. Ci sono la lotta all’evasione (da cui dovrebbero arrivare ben 7 miliardi), un piccolo taglio al cuneo fiscale, un po’ di privatizzazioni, gli aiuti green tramite due fondi investimento che dovrebbero mobilitare 50 miliardi in più anni, persino l’onnipresente e mai realizzata riforma del catasto. Non c’è l’abolizione del super ticket sanitario chiesta da Leu e non ci sono i tre miliardi per la scuola che il ministro Fioramonti voleva spremere dalle merendine («Mai pensato di tassare le merendine!») e non c’è nemmeno la seconda fase della flat tax per le partite Iva prevista dal governo giallo verde. Nessuno toccherà il reddito di cittadinanza e nemmeno Quota 100 di salviniana memoria.
Insomma, a parte lo sforzo di trovare i tanti soldi per evitare l’aumento dell’Iva – che obiettivamente darebbe una mazzata ai consumi interni - il governo ha avuto ben pochi margini di azione perché le risorse continuano ad essere poche, l’economia ristagna e le nuvole grigie all’orizzonte non promettono nulla di buono. E tuttavia almeno per il momento il livello di litigiosità all’interno della maggioranza per la legge più importante della vita di ogni governo, appare meno alto di quel che vedemmo l’anno scorso. Certo, con inedite convergenze, come quella tra Di Maio e Renzi che mai avremmo pensato un giorno di dover raccontare.
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