L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 19 Giugno 2019
Spaventa il paese
isolato e diviso
Quando è alle viste una procedura di infrazione che potrebbe avere esiti gravi, sarebbe necessario un Paese coeso almeno nei valori di fondo. Per storia e carattere, tendiamo invece più alla divisione che al comune sentire, e stavolta la frammentazione sembra ancor più accentuata, perché ci capiamo e addirittura ci rispettiamo sempre meno tra noi. Le linee di frattura interna sono sempre più numerose. Comincia già tra voto e non voto, dove siamo attorno al 50 a 50.
E il non voto spesso è meditato, pesante e pensante. Le elezioni danno un vincitore netto, attorno a un terzo dei voti espressi, è vero, ma si accentua sempre più il fatto che chi non è dalla parte del leader vincente gli è ostile in modo totale, irriducibile. I leader sono forti, ma divisivi. La tendenza cominciò con Berlusconi, si sviluppò con Renzi e ora è ai limiti dell’insopportabilità con Salvini. O con lui o totalmente contro. Si evoca con troppa leggerezza il fascismo, ma già parlarne è inquietante. Chi governa dovrebbe rappresentare tutti. Magari farebbe solo bene a non esibire all’occhiello un simbolo di partito (da Trump a Macron sulla giacca vediamo sempre la bandiera), perché non aiuta certo a essere un Paese, una nazione.
Le conseguenze di un quadro simile sono di vario ordine. Sul piano istituzionale, c’è la distorsione della stessa sovranità popolare, proclamata dal primo capoverso dell’articolo costituzionale, ma regolata poi da un equilibrio che viene dimenticato. E invitare gli organi di garanzia e ultimamente persino i giornalisti a candidarsi alle elezioni se vogliono fare domande scomode nelle interviste, riduce la democrazia liberale a ben piccola cosa, spesso al suo contrario.
Sul piano politico, scompare il ruolo del centro, sia di per sé che collegato con o senza trattino, a destra e sinistra, e il centro è un ammortizzatore fondamentale in un sistema politico, tanto più se la legge elettorale è proporzionale.
Infine, è preoccupante sul piano culturale. È infatti impressionante la spaccatura tra due Italia opposte. Da un lato quella che ha la maggioranza nelle urne e ne vuole fare uso senza contrappesi e senza tener conto del principio di realtà, dei numeri dell’economia e dei vincoli esterni. Se il voto è stato ottenuto con promesse non mantenibili, non importa. Le tasse si tagliano, la gente si manda in pensione prima, chi non lavora viene comunque remunerato. Tanto peggio per la realtà, i numerini, l’Europa. Qualcuno pagherà i debiti conseguenti, che sono comunque colpa di altri.
Dall’altro lato è non meno impressionante l’unanimità della critica. Non c’è giornale (anche tra quelli favorevoli al governo, che sono però critici durissimi almeno con una delle due parti), non c’è convegno, non c’è analisi che faccia sconti. Si può andare a colpo sicuro: se parla un professore, un editorialista, un analista economico, uno storico, un sociologo, sai già che condannerà la politica oggi al potere. Lo stesso vale per i corpi intermedi. Confindustria e sindacati danno giudizi simili. Organismi internazionali e giornali stranieri fanno coro. Il Governo si è scelto amici e nemici, ma gli amici latitano. Stravinci in Italia e quasi nessuno ti segue in Europa. Puoi anche denunciare lo snobismo delle élite e i pregiudizi anti populisti, ma un isolamento così non si é mai verificato.Fa eccezione solo una cattedra per ora rispettata, quella del Quirinale, che ottiene consensi totali forse ipocriti, ma è ancor fresco il ricordo di una minacciata denuncia per attentato alla Costituzione, quando Mattarella si permise di usare liberamente i suoi poteri.
Perché tutto questo è preoccupante? Perché le divisioni sono dialettica utile fino a quando non diventano incomunicabilità e mancanza di un minimo denominatore. Cosa accadrà a fronte di scelte davvero difficili? Se l’Europa ci sottoporrà a sanzioni e la risposta sarà la rottura finale, si troverà il modo di ricondurre ad unità questo Paese? Abbiamo anticorpi a sufficienza?
O prevarrà il classico opportunismo italico? Se però si entrerà nella sindrome del si salvi chi può, c’è chi avrà mezzi e cinismo per salvarsi, mentre a rimetterci saranno i piccoli e i deboli. A cui resteranno da pagare i debiti.
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