Sicurezza energetica, ora bisogna evitare le ideologie

Fino a una settimana fa il tema del giorno, per famiglie e imprese italiane, era il caro-energia. Eravamo giustamente in allarme per bollette sempre più salate a causa di una domanda di idrocarburi più forte delle attese trainata dalla ripresa post-pandemia e di una offerta di gas e petrolio che per varie ragioni non riusciva a stare al passo. Passati appena sette giorni, la situazione è decisamente più drammatica: all’ordine del giorno c’è ormai la sicurezza energetica del nostro Paese e dell’intero continente. L’Unione europea acquista infatti al di fuori dei propri confini il 60% dell’energia che consuma, in particolare oltre il 45% del gas e quasi il 25% del petrolio arrivano dalla Russia, Paese protagonista dell’invasione della vicina Ucraina.

La gravità di questo cambio di fase era ben percepibile ieri nelle comunicazioni del presidente del Consiglio, Mario Draghi, in Parlamento. In caso di interruzioni nelle forniture di gas dalla Russia, secondo l’esecutivo, l’Italia avrebbe più da perdere rispetto ad altri Paesi europei che fanno affidamento su fonti diverse. Così Draghi ha ribadito che «il Governo è al lavoro per mitigare l’impatto di eventuali problemi per quanto riguarda le forniture energetiche». E anche se al momento non ci sono segnali di un’interruzione dei flussi di idrocarburi dalla Russia, «è importante valutare ogni evenienza, visto il rischio di ritorsioni e di un possibile ulteriore inasprimento delle sanzioni», ha detto Draghi. Il presidente del Consiglio poi ha distinto tra misure di breve termine, come gli stoccaggi nazionali che vanno tutelati e coordinati al meglio con il resto dell’Unione, o il rafforzamento della produzione da centrali termoelettriche a carbone in caso di emergenza, e un approccio di lungo termine che dovrà essere mutato per ridurre la dipendenza italiana da Mosca.

Su questo secondo fronte, occorrerà innanzitutto rafforzare le importazioni di gas alternative da altri partner internazionali, a partire dall’Algeria alla Libia, passando per l’Azerbaigian. Da quest’ultimo Paese parte il gasdotto Tap, la cui progettazione e realizzazione sono state contestate per anni con slogan di vario tipo - apparentemente ambientalisti - poi rivelatisi infondati. Un’infrastruttura che nel 2021 è entrata in funzione e nell’arco di 365 giorni ha garantito da sola quasi il 10% del gas utilizzato dall’Italia. Insomma un caso di scuola di come il dibattito pubblico a volte possa essere minacciato da interessi di corto respiro e da scarsa lungimiranza. Dovrebbe essere una lezione utile in vista di quanto sarà necessario fare per il futuro. Meglio non ripetere gli errori degli scorsi anni su altri dossier che pure risulteranno decisivi per garantire la nostra sicurezza energetica, a partire per esempio dal maggior numero di rigassificatori da costruire per poter utilizzare il gas naturale liquefatto (in arrivo principalmente da Paesi peraltro democratici e alleati come gli Stati Uniti).

Tic ideologici, infine, saranno da evitare a proposito di un’altra decisione presa dal Governo e su cui la maggioranza parlamentare per ora si è dimostrata compatta, vale a dire la scelta di rafforzare la produzione di gas direttamente nel nostro Paese, lasciando lavorare a pieno regime le piattaforme di estrazione esistenti, dall’Adriatico alla Sicilia. Certo, non avremmo dovuto attendere l’emergenza per rimboccarci le maniche con un po’ di sano realismo. Ora ci vorrà del tempo per riconquistare spazi di autonomia energetica. Aiuterà tenere a mente che in ballo non c’è soltanto una bolletta più cara per una manciata di mesi, ma la tenuta industriale e sociale di un Paese intero.

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