Sfida a oltranza
Un vicolo cieco

«Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi», proclamava stentoreamente Mussolini il 3 ottobre del 1935, alla vigilia dell’attacco all’Etiopia. Sei mesi dopo, poteva vantarsi di aver riportato «l’impero sui colli fatali di Roma», al costo però, nell’immediato, delle dure sanzioni economiche prontamente decretate dalla Società delle Nazioni e, in prospettiva, di un’irrimediabile rottura con le nazioni democratiche. Non c’è bisogno di dire come è andata a finire.

Non vorremmo che l’esperienza, ovviamente in modo meno tragico e cruento ma non meno fallimentare, si ripetesse. Le analogie con il presente non sono poche. Anche oggi l’Italia sfida l’intera comunità europea per ingaggiare un braccio di ferro che si intende (almeno così sembra fino ad oggi) portare fino in fondo senza lasciar spazio a soluzioni mediatorie, e quindi col solo esito scontato: la proclamazione dei vincitori e dei vinti.

Salvini e Di Maio sono perentori al riguardo. La manovra non si cambia, è il loro ritornello, salvo qualche spiraglio concesso sui decimali. Non di meno, analogamente ad allora, la sfida assicura nell’immediato il premio di un grande consenso all’interno, al costo però di un ricompattamento di un largo fronte ostile all’esterno. Altrettanto similmente, la posta in gioco è quanto mai allettante, ma parimenti l’azzardo è da brividi. Il leader della Lega ha la concreta possibilità di agguantare la leadership dell’intero fronte sovranista europeo, ma al contempo si sta esponendo al rischio (se i calcoli gli vanno male) di veder franare il castello di consensi costruito nel frattempo.

Lo stesso ministro Tria ha riconosciuto, infatti, che la situazione è già oggi grave. Una stabilizzazione dello spread a 300 punti alla lunga – parole sue - non è sostenibile. Figurarsi nell’ipotesi più nera. Tremano i polsi al solo pensiero di quali disastri si verificherebbero in presenza di un attacco frontale della speculazione al nostro debito pubblico cui si accompagni una raffica di sanzioni della Ue.

I contraccolpi del prolungamento del braccio di ferro con Bruxelles si fanno già sentire. Resta, sì, il favore degli elettori. Il consenso continua ad aggirarsi attorno al 60%. Comincia a manifestarsi però la disaffezione dei risparmiatori. L’ultima asta di Btp Italia è stata la seconda più negativa di sempre. La dissociazione degli italiani tra l’urna e il portafoglio non può peraltro prolungarsi indefinitamente. Prima o poi dovrà pur ricomporsi, e non è detto che lo sia a vantaggio della prima.

La paura di essersi infilati in un vicolo cieco comincia fortunatamente a fare breccia tra le file della maggioranza spingendo i più responsabili a proporre di intavolare trattative con la Commissione europea prima che sia troppo tardi.

Nessuno, si spera, pensa di spingere la sfida fino alle estreme conseguenze. Anche i più temerari (Salvini?) forse vogliono solo tirare la corda per guadagnare tempo e arrivare al voto europeo di maggio sull’onda di una popolarità crescente, dopo di che sperano di disporre di un potere contrattuale più alto. Anche in questo caso comunque non possono escludere di dover correre seri rischi. Finché i due soci della maggioranza avanzano, infatti, il favore popolare è assicurato. Ma non appena accenneranno ad indietreggiare il loro carisma è facile che si sgretoli. Assisteremo allora al gioco dello scaricabarile, in cui ognuno dei due cercherà di addebitare all’altro la responsabilità della poco onorevole ritirata.

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