L'Editoriale
Sabato 11 Febbraio 2017
Se Trump diventa
la copia di Obama
L’industria dello sberleffo, alimentata con cura dagli orfani di Barack Obama, non ci fa mancare nulla. Compresa l’immagine di un Donald Trump che, secondo certe indiscrezioni, si aggira spaesato per la Casa Bianca in accappatoio. Il problema vero, però, è che Trump sembra aggirarsi in accappatoio lungo tutta la politica estera degli Stati Uniti. È di queste ore il «caso Cina». Trump ha avuto una storica prima telefonata, dai toni a quanto sembra cordiali, con il presidente cinese Xi Jinping. Un’ottima notizia. Una buona partenza.
Durante il colloquio, però, Trump avrebbe ribadito che gli Usa vogliono tener fede alla politica di «una sola Cina», cioè all’accordo siglato nel 1992 e che alla fine ognuno ha interpretato come meglio ha creduto, in uno spirito di pragmatico compromesso che ha finora permesso a Usa e Cina di fare grandi affari insieme mantenendo però una certa distanza sulle questioni politiche di fondo.
La sorpresa sta nel fatto che in campagna elettorale Trump ha dichiarato esattamente il contrario. Di più: prometteva che nel primo giorno da Presidente avrebbe bollato la Cina come «manipolatore di valuta» (atto che, secondo una legge Usa del 2015, porta a una serie di rappresaglie finanziarie e commerciali), che l’avrebbe trascinata davanti a tutti i tribunali americani e portata al giudizio dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Di più: appena eletto, Trump aveva parlato al telefono con Tsai Ing Wen, presidentessa di Taiwan, cosa che un presidente americano non faceva dal 1979. E aveva aggiunto di non sentirsi legato alla politica di «una sola Cina» fino a quando «non si fosse raggiunto un accordo anche su altre cose, compreso il commercio».
Marcia indietro? L’impressione è quella, anche se le cose sono un po’ più complicate di così. Per anni la Cina ha giocato con la svalutazione dello yuan per ottenere un vantaggio sui mercati mondiali, ma negli ultimi tempi si è messa piuttosto in regola. È anche vero che nel frattempo ha accumulato grandi guadagni, e che gli Usa hanno avuto, nei soli primi dieci mesi del 2016, un deficit commerciale con Pechino di 290 miliardi di dollari. Ma se sei gli Usa e hai un deficit pubblico di 20 mila miliardi, come fai a litigare con la Cina che di quel deficit detiene, attraverso l’acquisto di titoli pubblici, quasi il 20 per cento?
Trump ha minacciato di imporre dazi fino al 45 per cento sulle merci cinesi. Protezionista? Sì, come Obama, che nel 2009 impose un dazio del 35% sui copertoni importati dalla Cina, un affare da 1,3 miliardi di dollari nei primi sei mesi di quell’anno. Purtroppo, Obama si trovò con le esportazioni di pollame verso la Cina, subito bloccate da un analogo ordine di Pechino e la cosa finiì pari e patta. In più, i copertoni negli Usa presero ad arrivare non dalla produzione nazionale ma da quella di Taiwan, Indonesia, Messico, Giappone, Corea del Sud.
Sempre Obama, poi, lavorò a lungo per siglare la Trans Pacific Partnership con una serie di Paesi (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) come gli Usa preoccupati per l’espansione politica, militare e commerciale della Cina nel Mar cinese meridionale, un collo di bottiglia per cui passa un terzo del traffico marittimo mondiale, con relativi profitti. Una forma di protezionismo collettivo, però mai entrata in vigore perché mai approvata dal Congresso, e comunque disconosciuta da Trump.
E dunque? Obama era più protezionista di Trump? La sensazione è che Trump e i suoi abbiano molto mal gestito la transizione dopo l’elezione, parlando troppo e tardando ad affrontare i dossier più incombenti. I passi avanti indietro e di fianco sulla Cina sono gli stessi già visti su Israele: trasferiamo l’ambasciata a Gerusalemme ma forse no, gli insediamenti vanno bene ma forse fanno male alla pace, e così via.
Per il bene di tutti e non della sola America, è tempo che Trump decida che cosa vuol fare da grande. Che si smentisca da solo, una o cento volte, non è gran cosa, alla fine riguarda lui e il suo prestigio. Il rischio vero è che non cambi per nulla una politica estera che in questi anni ha prodotto più crisi che altro. Trump che fa la copia sbiadita di Obama, ecco una cosa che non si vorrebbe vedere.
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