L'Editoriale
Venerdì 05 Gennaio 2018
Se potessi avere
mille euro al mese...
La competizione tra Grillo e Berlusconi su chi promette più reddito garantito agli elettori di marzo ha già provocato l’accusa di plagio al leader di Forza italia da parte di Di Maio, che rivendica la sua primazia. C’è solo da augurarsi che le altre forze politiche non vogliano emularli, applicando la tecnica del +1 come in un’asta irresponsabile. Ma, propaganda a parte, proviamo a prendere sul serio, per un momento, questo discorso della distribuzione a tutti (5Stelle) o ai poveri (Berlusconi) di un regalo di Stato.
In fondo, dal punto di vista etico, una società che non riesce ad assicurare il minimo ai suoi membri, è certamente da correggere, anche se i livellamenti dall’alto sul reddito hanno dato storicamente esiti pessimi, e sono venuti solo dalle dittature.
È vero comunque che il problema di questa nostra epoca è la diseguaglianza, che si concretizza nella maggior velocità di crescita dei redditi più alti rispetto a quelli mediani o bassi. Crescessero tutti insieme, sarebbe ottima cosa, ma oggi le distanze tendono ad aumentare. Tema molto complesso da risolvere, certo non superabile con attrezzature solo ideologiche, e con strumenti puramente di redistribuzione fiscale. La flat tax. ad esempio, è ispirata al principio opposto: non redistribuire, ma mettere liberamente in circolo più risorse.
Il populismo si alimenta di rancore, vuole abbattere certi simboli del politicamente corretto (vedi il caso di Hillary Clinton), e ha cercato (inutilmente nel caso dei movimenti «Occupy», oggi dissolti) di puntare il dito sulla finanza, che ha le sue inaccettabili supponenze, ma una ricerca Bce ha anche dimostrato che è più efficiente delle Banche, nel promuovere una innovazione che è nell’interesse generale.
Certo, pensare di affrontare queste nuove sfide che sono innanzitutto globali con strumenti novecenteschi è puramente illusorio: dalle patrimoniali, dal taglio delle cosiddette pensioni d’oro, dalla politica dei bonus non possiamo aspettarci modifiche sostanziali.
Il Premio Nobel Angus Deaton distingue tra diseguaglianza, non sempre negativa, e ingiustizia, sempre da combattere, e indica una ricetta non liberista, ma liberale: «Dobbiamo portare il potere della competizione a servizio delle classi medie e operaie», cioè occorre incrementare un ambiente di concorrenza pro-consumatori, e comunque star lontani dal dirigismo.
A questa categoria, al di là dei buoni principi (cerca di applicarli anche Gentiloni con il reddito di inclusione, ma molto mirato), appartiene la gara tra il reddito di cittadinanza dei 5Stelle (830 euro a tutti) e il reddito di dignità di Berlusconi (1.000 euro ai poveri). Cittadinanza e dignità non si comprano con gli euro, ma lasciamo stare.
Per realizzare questo (costosissimo) obiettivo, occorrerebbe rivedere l’intero impianto del sistema economico e sociale, e questo non è di per sé condannabile in una società aperta, ma in concreto non vi sono le condizioni né politico-elettorali (potrebbe farlo solo un Putin con l’80% dei consensi), né quelle economico-sociali, perché occorrerebbe prima smantellare il welfare, i diritti sindacali, l’impianto dei contratti e dell’intero sistema pensionistico e assistenziale. Per poi ricostruire tutto questo in un nuovo contesto, senza interrompere la corsa, come in un’automobile che cambia le gomme senza fermarsi.
Ma sarebbe poi davvero giusto? Chi lavora o ha una pensione da 1000 euro al mese, perché mai dovrebbe essere equiparato a chi li prende semplicemente da mamma stato? Oppure tutti dovrebbero fare un passo avanti, sempre a spese dello Stato?
L’Unione sovietica aveva garantito un lavoro e quindi un salario a tutti, e fissava un prezzo politico irrisorio per le bollette della luce e del gas, ma era altrettanto ingiusta - molto di più dal punto di vista delle libertà individuali - della Russia del capitalismo sfrenato e diseguale di oggi, comunque dipendente da un’autocrazia, non da una democrazia.
Quest’ultima è faticosa e talora persino ingiusta, ma nella sua dinamica riformista è l’unica che può trovare un punto di equilibrio, con un solo limite, quello che Platone definiva demagogia.
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