L'Editoriale
Martedì 09 Giugno 2015
Se Maroni insegue
Salvini in fuga
Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha preso una iniziativa sull’immigrazione che, purtroppo per lui, in poche ore gli si è rivoltata contro. L’ex ministro degli Interni ha detto «basta» all’accoglienza dei profughi in Lombardia annunciando – «come disincentivo» – un taglio dei trasferimenti regionali ai Comuni che dovessero decidere di ospitare altri fuggiaschi. Con questo annuncio, per i giornali Maroni è divenuto subito capofila di una «rivolta del Nord» che ha visto allineati sia il leghista Luca Zaia, governatore confermato del Veneto, ma anche il forzista Giovanni Toti, che d’ora in poi governerà la Liguria.
Il punto è che gli avversari di Maroni non hanno impiegato molto a ricordarsi di quando, proprio lui come responsabile del Viminale promosse la divisione in quote regionali dei profughi delle «primavere arabe»: anzi Bobo all’epoca rilasciava dichiarazioni molto severe contro coloro che nelle varie realtà territoriali rifiutavano di aprire le porte di casa e di accogliere l’invito del governo. I telegiornali ieri sera hanno abbondantemente mandato in onda gli spezzoni di quelle dichiarazioni fin troppo palesemente contraddittorie con quanto Maroni va dicendo in questi giorni.
Non solo: ovunque è stata mostrata la cartina d’Italia con le cifre dell’accoglienza dove si capisce che il maggior carico dell’ospitalità viene sopportato dalle regioni meridionali, a cominciare dalla Sicilia (il 22% del totale) su su fino al Lazio (il 18%, e purtroppo sappiamo anche il perché di questo record, basta guardare alle risultanze dell’indagine Mafia Capitale), mentre quelle del Nord sono decisamente più sollevate, chi più chi meno fino ad arrivare alla Valle d’Aosta che attualmente ospita 62 africani e siriani. E anche questo non ha certo aiutato Roberto Maroni. Non solo, illustri giuristi hanno spiegato al governatore della Lombardia che sottrarre risorse ai Comuni senza motivo amministrativo ma solo come «disincentivo» per qualcosa d’altro (esempio: tolgo soldi agli asili perché avete troppi profughi in casa) è cosa che, leggi alla mano, non si può fare.
Ma la domanda a questo punto da farsi è un’altra. Come mai un uomo solitamente così misurato e cauto, di lunga esperienza, che ha lasciato di sé al Viminale un buon ricordo come ministro e che oggi rappresenta l’immagine per dir così «istituzionale» della Lega, si lancia frettolosamente in intemerate di questo tipo, così scivolose e controproducenti? In molti, nel Transatlantico di Montecitorio hanno malignato: deve essere che Matteo Salvini, il segretario che ha salvato la Lega dal baratro e l’ha lanciata verso la concorrenza al Partito democratico, sta occupando veramente troppo spazio (diciamo «renzianamente»…) e agli altri non resta che cercare di inseguirlo per non essere troppo oscurati.
Può capitare anche ad un vecchio leone come Maroni, il cofondatore del Carroccio dei tempi eroici che si sobbarcò il compito improbo di guidare il movimento dopo gli scandali della famiglia Bossi. Può darsi che sia una tipica malignità da palazzo romano ma questo è quel che girava ieri e l’altroieri tra una colonna e l’altra, e non è detto che sia senza fondamento.
Quanto a Salvini, non gli è certo mancata la fantasia per lanciarne un altro, di grido di guerra contro l’accoglienza ai profughi e riconquistare le prime pagine: «Occupiamo le prefetture!», ha detto, che è una cosa che fa sempre un certo effetto.
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