Se la vita di una donna
vale «solo» trent’anni

La vicenda aveva tenuto banco l’anno scorso nelle cronache nazionali per alcuni giorni. Sara Di Pietrantonio, 22 anni, venne uccisa a Roma dall’ex fidanzato Vincenzo Paduano, 29 anni, dopo un inseguimento. Un omicidio efferato, conclusosi con il rogo del cadavere. Il delitto fu il culmine di una vera e propria persecuzione, tra appostamenti, intrusioni negli indirizzi dei social della ragazza, messaggi minatori, pedinamenti attraverso la geolocalizzazione del cellulare della studentessa e aggressioni. In primo grado Paduano fu condannato all’ergastolo.

Nei giorni scorsi la Corte d’assise d’appello ha ridotto la pena a 30 anni. Una decisione che ha scatenato reazioni indignate anche di alcuni politici e motivata dalla Corte in base ad una diversa lettura tecnica delle accuse, confermate nel merito (omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili e abietti motivi, stalking e distruzione del cadavere): in primo grado, lo stalking fu riconosciuto come reato autonomo ed aveva annullato lo sconto di un terzo di pena che prevede il rito abbreviato. Per i giudici dell’appello, invece, gli atti persecutori vengono assorbiti dal reato più grave. Restano le aggravanti, che la richiesta di perdono pronunciata in aula da Paduano non hanno intaccato.

Di fronte a un fatto di cronaca nera di tale gravità si resta attoniti. Sara era cosciente dei rischi che correva (il pm titolare dell’indagine attraverso una rogatoria internazionale aveva ottenuto l’accesso alle chat su Facebook cancellate dall’assassino: in una la studentessa gli chiedeva «Perché vuoi uccidermi?» e lui rispondeva «Servirebbe a qualcosa?») ma ha continuato a fare la sua vita, senza farsi condizionare dalla presenza inquietante del suo ex fidanzato.La riduzione della pena può suonare come uno scandalo, ma è figlia di una legge dello Stato e della sua applicazione. Il leader della Lega Matteo Salvini, a proposito di questa vicenda, si è chiesto: «Ma uno cosa deve fare per prendere l’ergastolo in Italia». Bisognerebbe chiederlo ai 1.200 detenuti nelle carceri italiane condannati proprio all’ergastolo (ordinario o ostativo: con il primo c’è la possibilità di usufruire di permessi premio, semilibertà o liberazione condizionale; mentre il secondo è una pena senza fine che, in base all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario nega ogni misura alternativa e ogni beneficio a chi sia stato condannato per reati associativi, a meno che non sia un collaboratore di giustizia).

In Italia ci sono parlamentari e associazioni che si battono per l’abolizione dell’ergastolo: sarebbe in contraddizione con la Costituzione, per la quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, in vista del suo ritorno nella società. Le pene infatti hanno un doppio obiettivo: ricompensare il danno arrecato e recuperare l’autore. Anche Papa Francesco si è speso contro l’ergastolo, definendolo «come un’esecuzione. La giustizia non è vendetta». In una cinquantina di Stati (ma il numero si assottiglia sempre più) l’omicidio è punito con lo stesso atto, la pena di morte (in Occidente è ancora applicata solo dagli Usa), ma non funziona come deterrente ai crimini più gravi. Di fronte alla tragedia di Sara si provano dolore e sgomento. Quale risposta e quale giustizia merita il male impersonificato dalla persona che l’ha uccisa dopo averla disumanizzata facendone l’obiettivo di un’ossessione irrefrenabile? La risposta la lasciamo alla mamma della studentessa: «Per un ragazzo della sua età non mi pare ci sia una grossa differenza tra una condanna all’ergastolo e a 30 anni di reclusione. Ma non credo che l’imputato si sia pentito per davvero: per arrivare a un pentimento sincero dovrà essere aiutato in un percorso lungo, da solo non può farcela».

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