Se la scienza fa vivere
e morire due volte

La vicenda della ragazzina che ha ottenuto, dopo la morte, di farsi ibernare, è sorprendente per quello che dice e altrettanto sorprendente per quello che tace. La notizia dice una straordinaria fiducia nella scienza e nelle sue possibilità. I siti internet, e non solo loro, si sono impegnati a spiegare che cosa è criogenesi e quali sono le speranze che essa alimenta. La ragazzina stessa ha conosciuto della criogenesi attraverso internet. È il trionfo della scienza, dunque, una scienza che lascia balenare
perfino la possibilità di sfidare la morte.

Già questo suscita qualche impegnativa domanda. Si sente dire che una certa cultura scientifica sogna di vincere tutte le debolezze umane, sulla base di una convinzione: un progresso indefinito per il quale ciò che non si riesce a ottenere adesso, si pensa di poterlo ottenere in un futuro più o meno vicino. Ma oggi questa certezza è battuta in breccia da tutte le parti. Anche se lo si otterrà non si sa chi e non si sa con quali mezzi potrà poi accedere ai benefici di quel progresso. Non solo, ma molto progresso, oggi, appare sempre meno indefinito e molto più propenso a distruggere la vita che a prolungarla. La possibilità di ritornare in vita, soprattutto, appare più un sogno impossibile che una concreta speranza.

La notizia tace, invece, di cosa significa una possibilità simile per l’insieme dell’umanità. Da ricordare una constatazione molto semplice: se la scienza offrisse davvero a molti la possibilità di non morire più, moriremmo tutti. La terra, è noto, non è in grado di sostenere una crescita indefinita. Gli abitanti che ci sono possono vivere e sperare di vivere bene perché alcuni, molti continuano a morire. Mors tua vita mea, purtroppo. Questa alternativa è emersa, in filigrana, anche dalle discussioni che si sono avute attorno al fatto della ragazzina inglese: la criogenesi è stata voluta dalla madre e osteggiata dal padre e la richiesta ha fatto scoppiare un caso giudiziario clamoroso. La morte negata è un fatto che «non va da sé» e rischia di far esplodere certezze e legami stabiliti.

La concentrazione sulla notizia ha fatto dimenticare anche alcuni «dati» semplicissimi. Il più ovvio è che, nell’ipotesi che la criogenesi funzioni e che la ragazzina torni in vita, dovrà poi morire un’altra volta. Morire due volte è il pedaggio da pagare a qualche anno di vita in più. Pedaggio pesante, comunque. È facile che ci si ricordi che a qualcuno è già capitato: Lazzaro, l’amico di Betania, di cui parla il vangelo di Giovanni, viene richiamato alla vita da parte di Gesù, con un gesto spettacolare. È morto già da quattro giorni, manda cattivo odore, Marta, la sorella del morto, sconsiglia. Ma Gesù procede, fa aprire la tomba, chiama «a gran voce» l’amico e questo, tutto imbozzolato nel lenzuolo funebre, esce: «il morto uscì», racconta con una immagine paradossale, il testo evangelico. Tutto il racconto è sia l’enfasi della morte sia l’enfasi della vittoria sulla morte. Ma questa è un dono di Gesù e non un’impresa di Lazzaro.

La storia moderna di una ragazzina che si fa ibernare è, invece, la negazione dell’una e dell’altra cosa. La morte non è accettata e la «risurrezione» non si sa se ci sarà. E, se ci sarà, o il ritorno in vita sarà una fortuna esclusiva per pochi o sarà la sfortuna e la morte per tutti.

Ma non ci si meraviglia di tutto questo: l’uomo, in un modo o nell’altro, prima o poi, è tentato di negare i suoi limiti. Ma è sempre come saltare sulla propria ombra e quei tentativi, quasi sempre, gli si ritorcono contro.

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