L'Editoriale
Mercoledì 26 Ottobre 2016
Se la politica perde
il senso del tragico
Dallo scorso gennaio ha perso la vita un migrante ogni 88 nel tentativo di attraversare il Mare Nostrum verso l’Europa. Il dato pubblicizzato dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati sale a uno ogni 47 se si considera solo lo spazio del Mediterraneo centrale. Così il 2016 sta per diventare l’anno più tragico di sempre: i morti e i dispersi finora sono 3.740, in tutto il 2015 erano stati 3.771. La tragica conta non è attribuibile a un aumento delle persone in viaggio che sono anzi in calo: 327.800 da gennaio, a fronte del milione del 2015.
Ma è cambiata l’azione dei trafficanti, che utilizzano imbarcazioni sempre più precarie e sempre più cariche per massimizzare i profitti. Il gergo del business qui è usato volutamente, a sottolineare l’organizzazione aziendale della «joint venture» del crimine. Che come tutte le imprese attrezzate a stare sul mercato, ha una visione globale, mancante invece a buona parte della politica chiamata a dare risposte alla tragedia.
Un fiume di parole scorre a commento delle migrazioni: le lasciamo volentieri al dibattito pubblico acceso e improduttivo perché spesso condizionato appunto da visioni di parte, da proposte impraticabili, da interessi di corto respiro quando non da ignoranza esibita. Quello che manca è proprio il senso della tragedia, la capacità di sentire questa carneficina come finalmente dolorosa al punto da diventare non più tollerabile. Dal deficit di umanità discende l’assenza di azioni condivise. E le poche intraprese hanno tempi di applicazione non adeguati alla velocità con la quale si consumano vite in mare.
Fra le proposte dell’Alto commissariato Onu, per arginare la mattanza c’è la garanzia di accessi regolari nel Vecchio continente a chi ha diritto allo status di rifugiato, anche rafforzando il meccanismo della sponsorizzazione privata previsto nell’ordinamento europeo. In Italia è utilizzato da un’alleanza virtuosa (Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche e Tavola valdese) che entro dicembre con il sostegno del governo e a proprie spese avrà dato ospitalità a mille siriani scappati dalla guerra. Il raffronto con il piano di ricollocamento europeo è impietoso: prevedeva la distribuzione in due anni nell’Ue di 40 mila richiedenti asilo provenienti da Italia (24 mila) e Grecia (16 mila). Finora il nostro Paese è riuscito a trasferire appena 1.318 migranti. Da sola l’alleanza quindi ha dato risposta a un numero di persone quasi pari a quelle ricollocate dai 27 Stati dell’Unione. Il caso esemplifica la distanza che separa l’azione dall’immobilismo, i cui effetti hanno ricadute sociali e quindi politiche pesanti. L’Europa non è la sola responsabile di questo stallo che chiama in causa anche i Paesi a Sud del Mediterraneo. Ma non è banale sottolineare i danni che produce una politica ridotta a gestione delle contingenze, a burocrazia incapace di strappi sulla scia di ideali quando non a sola rincorsa del consenso.
Lunedì scorso due paesi del Ferrarese hanno letteralmente innalzato barricate contro l’arrivo di 12 donne e 8 bambini richiedenti asilo, dopo che il prefetto aveva requisito senza preavviso un ostello per ospitarli. La rivolta ha ottenuto il risultato prefissato di «preservare» i due comuni dall’accoglienza. Un fatto inquietante ma che non può essere liquidato come ha fatto il ministro Alfano con l’affermazione «questa non è l’Italia». Perché l’Italia è anche questa e chi la governa ha il dovere di farsi carico pure del rancore che serpeggia nei territori, di interrogarsi sull’origine di quegli umori senza remore e sulle possibili risposte. E lo Stato non può arrendersi alla legge del più forte: al netto di procedure sbagliate e quindi da correggere (il diktat dei prefetti è parte di una gestione ancora emergenziale e ormai inefficace del fenomeno), non può però passare il principio che chi si ribella con la forza l’ha vinta. Per la prima volta in quei due paesi sarebbero stati accolti richiedenti asilo, oltretutto donne e bambini bisognosi di protezione. La rivolta non è quindi spiegabile con categorie del tipo «ne ospitiamo già troppi» o con un presunto allarme sicurezza. C’è dell’altro dietro questo rifiuto barricadero, oltre alla prima evidenza di un’umanità in regresso. Cavalcarlo come ha fatto Salvini (ha definito i rivoltosi «eroi») è un automatismo scontato per gli schemi del leader leghista. Ma non risolve il problema. Il rancore sociale si riversa contro Renzi e Alfano, un domani invece interpellerà quelli che ora lo sfruttano a proprio vantaggio nella speranza appunto di andare al governo. Anche con accese campagne contro «l’Europa dei burocrati».
E qui torniamo al punto. Se la politica perde il senso della tragedia e dell’umano, al punto di assistere sostanzialmente impotente alla carneficina nel Mediterraneo, si confina a mediocre gestione tecnica del contingente. A pagare il prezzo di questa asfissia non sono solo i migranti, ma tutti i cittadini ridotti a pedine di una fredda contabilità. L’Europa e i suoi leader dovrebbero preoccuparsi anche di questo deficit, non solo di quello dei bilanci dei 27 Stati membri. Per non morire nel fondo del Mediterraneo.
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