L'Editoriale
Lunedì 08 Dicembre 2014
Se la piovra strangola
un intero paese
U n miliardo e 300 milioni di euro solo quest’anno. È l’importo dei beni sequestrati dalla magistratura alla mafia romana. Il doppio del 2013, cinque volte di più del 2012: una progressione impressionante. La punta dell’iceberg della corruzione nazionale, che costa 60 miliardi secondo i calcoli della Corte dei Conti. Il rapporto Censis dice che il 60% dei cittadini teme di cadere in povertà. È il certificato di morte del ceto medio. Ma a Roma hanno continuato a rubare come se nulla fosse. La lezione è chiara : non si concede credito a chi ruba.
Destra e sinistra a Roma hanno goduto di una sorta di immunità amministrativa all’insegna dell’onorabilità: la capitale non può fallire. Così negli anni hanno sempre preso i soldi dei contribuenti e poi ne hanno fatto quel che volevano. Roma ha un commissario al debito, ma dal 2012 ad oggi la spesa corrente anziché diminuire è aumentata: 641 milioni. Poi 13 mila dipendenti comunali, l’azienda rifiuti Ama che assume 1.644 addetti e ne stabilizza 1.700, le municipalizzate in dissesto finanziario: tutto questo spiega perchè nessuno si lamentava. Del resto ai capi – per il loro contributo alla coesione sociale in versione capitolina – venivano versati stipendi da 545 mila euro, vedi il manager della nettezza urbana Franco Panzironi.
Al Nord, nel settore privato, le imprese chiudono e licenziano mentre i titolari sono presi da disperazione: ma qui invece si naviga nell’oro. Si chiama Roma Capitale che sul Tevere viene onorata così, potremmo dire sin dai tempi di Trimalcione. C’è un argine alla corruzione quando nei secoli si è incancrenita nei costumi dei popoli? Probabilmente no, ma certo vi è modo di contenerla. Di impedire che diventi la cifra del modo di essere anche di chi corrotto non è. In breve che non assuma i caratteri dell’egemonia culturale.
Se guardiamo la carta geografica e la classifica di Trasparency International, i Paesi che vivono di correttezza civica sono una manciata e quasi tutti nel Centro Nord d’Europa e dell’ America del Nord. Non sono virtuosi, sono semplicemente così per abitudine e tradizione, a loro non costa alcun sforzo. Ed è a queste latitudini che è stato scoperto lo Stato moderno. Una cosa per chi vive la comunità come un «io nel noi», (vedi il sociologo tedesco Axel Honneth) con tanto di regole. Ma l’Europa non è omogenea e il Sud e l’Est non sono su questa strada. La sfida dell’euro è proprio questa. La disciplina di bilancio e la rigidità del cambio richiedono qualità che al Sud scarseggiano. I costumi castigati sono percepiti come condanna, non come opportunità. In fin dei conti si tratta di sacrificare il presente per un futuro stabile e quindi rassicurante. Proprio il contrario di quello fatto finora. Non è più solo questione di soldi e di investimenti ma di modo di essere.
Riusciranno gli italiani ad auto fustigarsi e quindi ad auto correggersi? Anche all’estero leggono delle imprese de «la mafia de noatri», e di certo se Renzi va da Merkel a chiedere mitezza si vedrà rispondere durezza. Non contro gli italiani ma contro i ladri, i corrotti, i mafiosi, i collusi, gli intriganti, gli ignavi, contro il sistema criminale che affligge il Paese e appunto da piovra, qual’è, lo strangola. Solo il timore di una pena superiore rende accettabile quella inferiore. L’emergenza guida i popoli incapaci di governarsi. Se l’amministratore sa di dover fallire, ci sta più attento e la mafia è costretta alla dieta. Anche quelli che avevano sugli scudi «Roma ladrona» si sono persi per strada e sulle felpe ora scrivono «Basta euro». Speriamo si riprendano dall’imbambolamento. Se vogliono, una nuova parola d’ordine c’è: basta corruzione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA