Se il Senato rimane
in mezzo al guado

La mediazione è metodologia indispensabile dell’azione politica. Ma non significa affiancare posizioni diverse, producendo una soluzione contraddittoria e ambigua. Questo però sembra il caso del nuovo Senato che uscirebbe oggi dall’approvazione del progetto di revisione costituzionale.

Tralascerò le obiezioni di metodo a questo progetto, che pure sono decisive anche ai fini del suo esito deludente. Sorvolerò anche sulle bassezze cui è sceso il dibattito parlamentare in questa occasione, anche se non posso non rilevare, quasi con incredulità, l’ambigua allusione della senatrice Finocchiaro sui Padri costituenti del 1947 che sarebbero stati «nominati», anziché - come furono - eletti. Mi concentrerò sulla soluzione data al problema del bicameralismo. Cerco di sgombrare subito il campo da fraintendimenti: sostengo anch’io che il superamento del bicameralismo perfetto sia auspicabile; e che si dica il vero quando si dice che già in Assemblea Costituente una medesima legittimazione e funzione delle due Camere apparve soluzione di ripiego, disarmonica rispetto all’architettura della Costituzione. I costituenti cullarono l’idea di una seconda camera che sapesse colmare il deficit di rappresentatività del sistema partitico e che desse espressione ad altre istanze fondamentali del tessuto sociale e politico del Paese (formazioni sociali e livelli istituzionali). La soluzione alla fine adottata aveva comunque una coerenza di tipo liberale: le due Camere, con eguali funzioni, furono pensate come soluzione di garanzia. Occorrevano, secondo M. Ruini, «doppie e più meditate decisioni».

Di fronte alle sfide del presente è giusto entrare nell’ottica del cambiamento, nel tentativo di porre rimedio all’accresciuto deficit di rappresentatività sempre più sofferto dal sistema partitico. Per questo, a mio avviso, l’ostinata difesa di un Senato direttamente elettivo non aveva consistenza. L’elettività diretta infatti riprodurrebbe fatalmente nel Senato la medesima conformazione partitica, inibendo la rappresentanza di soggettività politiche che non trovano nel canale dei partiti un veicolo affidabile o esclusivo. Inoltre, se il Senato mantenesse la stessa legittimazione diretta della Camera dei Deputati, come si potrebbe giustificare l‘affidamento ad esso di funzioni diverse e minori? Se dunque il problema (quello serio) era di arricchire la capacità rappresentativa del Parlamento, era coerente fare della seconda Camera un organo di rappresentanza indiretta. Sul punto, il limite del progetto Renzi-Boschi era di insistere su un Senato delle Regioni, in un momento storico in cui le Regioni stesse attraversano una grave crisi di legittimazione politica. Siccome le Regioni hanno subito anch’esse l’occupazione dei partiti e sono interessate dai medesimi fenomeni di deterioramento che hanno screditato il livello rappresentativo nazionale, dubito fortemente che un principio di arricchimento della rappresentatività del Parlamento si possa attingere da queste istituzioni.

Le novità a mio avviso più rilevanti sul fronte dell’organizzazione democratica del Paese sono giunte in questi anni dal tessuto delle autonomie locali; ma ci si doveva anche porre la questione dei luoghi sociali in cui si esprimono politicamente i cittadini. E tuttavia, questi problemi di fondo il progetto e i suoi sostenitori non si sono posti. Ciò che interessava (al Governo e al suo capo) era portare a casa un risultato qualitativamente più modesto, ma decisamente più spendibile in vista del consolidamento del consenso e del potere: la riduzione del numero dei parlamentari. Per quanto riguarda la sostanza della rappresentanza, la mediazione accolta prevede che i nuovi senatori siano eletti dai Consigli regionali «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge». Un’elezione di secondo grado quindi, il cui equilibrio appare tutto da decifrare: che cosa vuol dire «in conformità»? È solo una ratifica o c’è uno spazio di una investitura autonoma? Il rischio concreto è di non avere più un Senato di garanzia, senza averne uno delle autonomie.

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