Se gli italiani
bocciano i partiti lontani

Una pagella piena di clamorose insufficienze: 2,5 di media per i partiti, 3,7 per il Parlamento, 3,9 per i Consigli regionali, provinciali e comunali. I politici, da quanto certifica l’Istat nel rapporto «Benessere equo e sostenibile» pubblicato ieri, dovranno ripetere ancora una volta l’anno. Non è la prima volta, infatti, che non raggiungono gli obiettivi minimi. Una débâcle che ha nel recente referendum costituzionale la sua cartina di tornasole: ad essere bocciato dal voto dei cittadini non è stato solo Renzi, ma tutto il suo governo.

Una bocciatura che è figlia soprattutto della sfiducia dei cittadini nei confronti dei politici. Basta ascoltare i discorsi della gente comune in una panetteria o in un bar per capire quale sia il livello di insoddisfazione per l’operato dei nostri governanti, al di là del partito al quale essi appartengono.

Il cittadino ha bisogno di qualcuno in cui credere, al quale affidarsi per vedere affrontare e risolvere i suoi problemi più o meno gravi, di immedesimarsi in un politico che si batte con passione per degli ideali e che agisce in maniera chiara e disinteressata per la sua patria e per il bene comune. Ma da quanto ci racconta la pagella dell’Istat, nessuno risponde a questi requisiti, che sono poi alla base della parola politica: amministrare la «polis», la città-Stato, per il bene di tutti, come ci indicava per primo Aristotele 2.400 anni fa.

Durante la campagna referendaria abbiamo assistito, come in tante altre tornate elettorali, a uno spettacolo a volte indecoroso, all’insegna di insulti e attacchi personali. Di bugie, poi, ne abbiamo ascoltate veramente tante. Renzi aveva detto: se perdo mi ritiro dalla politica. Boschi: se vince il No lascio la politica. Dario Franceschini: con la sconfitta si chiude bottega. E anche il neo ministro Valeria Fedeli aveva annunciato che non sarebbe rimasta attaccata alla poltrona in caso di vittoria dei No. Ebbene, nessuno ha mantenuto la promessa: sono ancora tutti lì, anche su poltrone migliori. Sul web da giorni impazzano i video con le promesse dei politici poi tradite attirando l’ironia di migliaia di internauti, soprattutto giovani. Ed è uno spasso vedere l’esplosione della loro creatività su questi temi.

Proprio tra i giovani la sfiducia nei confronti dei politici è alle stelle. Del resto, come dare loro torto? La sensazione che hanno, e che si ricava ascoltandoli, è che la politica oggi non è quella concepita da Aristotele nell’antica Grecia, che puntava appunto al benessere di tutti, ma solo l’aspirazione al potere di alcuni come invece teorizzava il filosofo tedesco Max Weber nel secolo scorso. I ragazzi, ancora più degli adulti, hanno bisogno di esempi da seguire, di miti, di una guida a cui affidarsi e di ideali in cui credere. Nel momento in cui si rendono conto che un politico nel quale avevano creduto è incoerente, che cambia opinione in base al consenso che può raccogliere attraverso i suoi interventi e le sue azioni, gli revocano ogni fiducia. Renzi era il nuovo che rottamava i vecchi, ma è invecchiato in fretta anche lui e gli italiani probabilmente si sono stancati presto di vederlo apparire dappertutto: avrebbero preferito un premier silenzioso e un proprio tenore di vita migliore.

L’ondata di anti politica e di populismo che da qualche anno ha investito l’Italia parte proprio da qui: il politico si concentra sulla sua immagine, mostra spesso i muscoli, urla e promette a ruota libera. I toni troppo al di sopra delle righe di ogni campagna elettorale non fanno altro che allargare la forbice tra chi governa e chi ogni giorno ha a che fare con i morsi della crisi economica, con la disoccupazione, con la scelta di una buona scuola per i propri figli, con i soldi che non bastano a pagare il mutuo, le tasse o le bollette. Proprio ieri Confindustria ha diffuso gli ultimi dati sui poveri assoluti in Italia: sono 4,6 milioni con un aumento del 157% rispetto al 2007, il numero più alto dal dopoguerra. E anche l’Istat ha ribadito come il Paese sia spaccato e i divari tra Sud e Nord non fanno che crescere: nel Mezzogiorno si guadagna il 37% in meno a testa.

I governi, comunque, provano ad affrontare la crisi economica. Non si può dire che stiano con le mani in mano a guardare la nave affondare. Gli interventi anche nella Legge di stabilità appena licenziata ci sono e gli sforzi non mancano: il problema è che queste misure incidono poco e non sono visibili nella vita di tutti i giorni e comunque meno visibili di come lo sia lo scontro politico al quale assistiamo quotidianamente come la rissa sfiorata ieri tra M5S e Pd in Campidoglio sul caso Muraro. Per ottenere la promozione sarebbe meglio fare bene i propri compiti, uscire meno in tv e in piazza e mantenere un comportamento corretto, chiaro e coerente durante tutta la legislatura.

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