L'Editoriale
Lunedì 15 Giugno 2015
Se attorno alla casa
volano solo avvoltoi
Se i soldi facessero rumore, come le monete di una volta, domani sarebbe fragoroso il frastuono di 12 miliardi di euro che entrano, tutti insieme, nel salvadanaio dello Stato e dei Comuni, con la riscossione di Imu e Tasi, prima scadenza del pagamento sulle tasse della casa, le più discusse e le più impopolari.
Tant’è che il rumore da coprire, in questo 16 giugno, dovrebbe essere se mai quello del brontolio collettivo che accompagna uno dei giorni più dolorosi del calendario nazionale. Alla tassa sulla casa non si sfugge, perché, salvo le debite eccezioni derivanti dalla fantasia italica, i muri non si possono nascondere, né esportare all’estero. E così il popolo che al mondo – con il Giappone – è formato dal più elevato numero di proprietari di immobili, sa che le tasse sono inesorabili, ma l’Imu ancor di più. Qui non contano le statistiche che ci segnalano che l’imposta regina, l’Irpef, è in realtà problema non diciamo di pochi ma insomma non di tutti.
Anche moltissimi di quei 10 milioni di italiani che versano solo 55 euro l’anno per l’Irpef, saranno infatti con il portafoglio in mano a consegnare moduli azzurrini, magari dopo mille calcoli e qualche coda per capire cosa è la Tasi, che paga costi comunali che prima erano invisibili ma oggi sono diventati indivisibili, eppur divisi esattamente alla pari tra i cittadini che magari si lamentano dell’illuminazione incerta, del marciapiede rotto, del vigile presente solo quando sei in sosta vietata. Con la complicazione di voler far contribuire anche gli inquilini (pagheranno?).
La complessità della tassazione, e il suo carattere tentacolare, sono tali che davvero dura poco lo stupore per i dati Istat sull’Irpef, che dicono che il 10% dei contribuenti paga oltre il 50% del gettito, e fanno sorridere amaro quando si scopre che sopra i 200 mila euro di reddito ci sono soltanto 76.093 contribuenti, non uno di più, che possono anche essere invidiati, ma versano in media 151.940 euro ciascuno! La vera invidia nazionale, anche se è brutto riconoscerlo, è per quell’area dell’evasione fiscale, divertente solo per gli economisti che discutono se sia di 100 o 200, o più miliardi. Il fatto è che il 16 giugno, insieme al giorno di dicembre in cui l’incubo tornerà nell’acrobatico incrocio tra saldi e acconti, resta il giorno della meditazione nazionale sull’ingiustizia della tassazione sul bene rifugio più prezioso, frutto di grandi sacrifici.
Sulla casa, del resto, si è molto esercitata la propaganda politica, con la contraddizione violenta che, all’interno di uno stesso partito, contrappone le necessità di chi deve garantire i conti centrali e chi, senza queste imposte, non può far funzionare i Comuni. Col risultato, comunque, che secondo Confedilizia le imposte sulla casa sono salite dai 9,2 miliardi del 2011 (vecchia Ici) ai 23,8 del governo Monti, fino all’attuale somma Imu+Tasi attorno ai 25 miliardi anno (12 domani, il resto sotto Natale). L’unico riparo, fino a oggi, è stato il fatto che l’inefficienza pubblica ancora non consente di valutare con esattezza il valore patrimoniale effettivo (peraltro in diminuzione drastica, oltre il 20%), ma la riforma del catasto è già per strada e i valori di riferimento (oggi spesso molto ingiusti) dovrebbero prima o poi almeno triplicare, anche se a parità di gettito. Eppure, se è vero che l’economia cresce o soffre a seconda degli stati d’animo di un Paese (la famosa fiducia), chi sa che il tesoretto-casa mantiene o recupera valore, è più sereno nel consumo, che è l’altro grande problema del Paese.
Si dice che Renzi stia cercando in questi giorni un altro colpo di teatro fiscale per rafforzare l’azione del governo. Dato che non può farlo affamando ulteriormente i Comuni, la chiave potrebbe essere quella di un rilancio dell’edilizia, vero motore italiano (dal cemento ai mobili), perché attorno alla casa non devono volare solo gli avvoltoi.
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