Salvini chiude i porti
Alcune domande

Non dubitiamo del fatto che la decisione del ministro dell’Interno Matteo Salvini di chiudere i porti italiani all’approdo della nave «Aquarius», in navigazione con 629 naufraghi a bordo provenienti dal Nordafrica, tra cui 123 minori non accompagnati, abbia raccolto molti consensi pubblici. La Lega si è affermata alle elezioni del 4 marzo scorso battendo molto sul tasto dell’alt all’immigrazione e il leader del Carroccio è stato di parola. La svolta è arrivata ma ci sia consentita almeno qualche domanda. È questa la modalità attraverso la quale il governo intende gestire il fenomeno migratorio, aprendo ad ogni spuntar di barca un contenzioso con gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo? Il presidente del Consiglio Conte cosa pensa a tal proposito? Ieri sera ha detto che l’Italia è stata lasciata sola: che scoperta, lo chiedesse ai suoi predecessori...

E perché il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi sulla vicenda maltese non ha proferito parola? È pur sempre il titolare del dicastero che deve trattare con gli altri Stati i dossier più importanti, e l’immigrazione è tra questi. Le convenzioni internazionali sul diritto del mare, pur non prevedendo esplicitamente l’obbligo per gli Stati di far approdare nei propri porti le navi che hanno effettuato il salvataggio, impongono e si fondano sul dovere di solidarietà in mare, che sarebbe disatteso qualora fosse negato l’accesso al porto di un’imbarcazione con persone in pericolo di vita, appena soccorse e bisognose di assistenza immediata. Ed è questo il caso della «Aquarius», che ora rischia di navigare a vuoto tra Italia e Malta. Il governo de La Valletta rimarca come il salvataggio in acque libiche sia stato gestito dal nostro Paese, il quale quindi dovrebbe portare a termine l’operazione facendo approdare la nave in un proprio porto. Di altra idea è Salvini.

Vedremo come andrà a finire il contenzioso. La parola solidarietà, quando si ha a che fare con i migranti, non è nelle corde del neo ministro degli Interni, nonostante avesse giurato in piazza sul Rosario... Restiamo quindi nel campo della politica. La ripresa degli sbarchi è un segnale che la Libia ci manda, probabilmente interessata ad alzare la posta con l’insediamento del nuovo governo a Roma e in vista delle elezioni a Tripoli a dicembre. L’Europa aveva stanziato 200 milioni di euro affinché i libici allestissero una sistema di contrasto alle partenze dei flussi migratori ma era poi seguita una richiesta di 800 milioni per l’acquisto di navi, motovedette, elicotteri, jeep e ambulanze.

Un’altra questione politica riguarda l’opposizione di Salvini alle modifiche del Trattato di Dublino, il regolamento dell’Unione europea che prevede tra l’altro la responsabilità dell’asilo assegnata al Paese di primo sbarco. Il Trattato quindi svantaggia l’Italia, ma il nostro ministro dell’Interno si è schierato con il cosiddetto «gruppo di Visegrad» composto da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, sovranista e anti Ue, contrario alla correzione del Trattato (Conte invece è a favore) perché non vuole richiedenti asilo sul proprio territorio e si oppone anche alla redistribuzione dei migranti tra i Paesi europei. In particolare Salvini guarda al presidente ungherese Viktor Orban come a un modello politico da emulare, al punto da mettere in gioco gli interessi italiani sul tema. Queste contraddizioni prima o poi verranno al pettine. Tra porti blindati, blitz francesi in territorio italiano a caccia di immigrati, la chiusura del Brennero usata come minaccia dal governo austriaco, l’Europa non riesce a darsi una politica davvero comunitaria, a definire canali legali per l’immigrazione evitando i pericoli del mare e a contrastare i trafficanti di essere umani. Del resto manca di una politica estera comune. E proprio alla politica estera il contratto sul quale è nato il governo italiano dedica solo una paginetta.

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