«Salvati», alleanze
e una legge morta

Il voto con cui il Senato a maggioranza ha rifiutato di dichiarare decaduto dalla sua carica di parlamentare in quanto condannato in via definitiva l’ex direttore del TG1 Augusto Minzolini (Forza Italia) porta con sé numerose conseguenze politiche, istituzionali e persino morali. Innanzitutto il voto sembra far resuscitare il vecchio patto del Nazareno. Anche un occhio poco abituato a guardare la scena parlamentare è in grado di notare una coincidenza più che sospetta se di mercoledì, grazie anche a Forza Italia, viene respinta una mozione di sfiducia contro il ministro renziano Luca Lotti indagato nell’inchiesta Consip, e di giovedì, grazie ad una parte del Pd, il berlusconiano Minzolini condannato per peculato con sentenza passata in giudicato scampa la decadenza da senatore. Da questa coincidenza si possono trarre conclusioni sia di tattica che di morale politica.

Sotto il profilo morale, si può pensare che il Parlamento non abbia valutato il merito delle questioni nel giudicare l’irreprensibilità giudiziaria dei suoi componenti, ma prenda in considerazione solo la convenienza di partito e il calcolo di bottega. Sotto il profilo politico ci si può poi chiedere se le votazioni su Lotti e su Minzolini, interpretate come scambio reciproco di favori, non stiano a dimostrare il riemergere del vecchio patto del Nazareno tra Berlusconi e Renzi.

Domande più che legittime anche se, per esempio, una senatrice anticamorra come la renziana Capacchione sostiene che su Minzolini non c’erano elementi concreti per poterlo cacciare dal Senato, e quindi nega di aver fatto un «favore» ai berlusconiani rivendicando di aver agito in coscienza. Ed è una dichiarazione che va presa con attenzione anche per la personalità da cui proviene, simile a quella di altri senatori del Pd di assoluto rispetto come Pietro Ichino e Luigi Manconi che hanno votato a favore di un avversario politico in nome del garantismo e del voto di coscienza che il Pd aveva garantito rinunciando alla disciplina di partito. Come si vede, le cose sono un po’ più complesse e meno schematizzabili di quanto appaiano a prima vista.

Sta di fatto che i Cinque Stelle, che hanno votato contro Minzolini e avevano presentato la mozione contro Lotti, ne hanno subito approfittato per sollevare la «questione morale» anche con parole obiettivamente troppo forti: evocare infatti un reato come il voto di scambio per un voto del Senato, e addirittura apostrofare come «eversiva» la decisione di palazzo Madama significa usare un vocabolario roboante adatto alle piazze o ai social network ma che bisognerebbe mettere da parte, come anche ieri ha chiesto il capo dello Stato, se non si vuole aizzare l’odio della pubblica opinione contro le istituzioni rappresentative.

Sta di fatto però che la due giorni senatoriale non ha brillato per trasparenza, e giocoforza gli italiani ne ricaveranno una impressione negativa: «Sono tutti uguali» si dirà, proprio quando Luca Lotti aveva detto in aula: «Non è vero che siamo tutti uguali, noi siamo persone perbene».

C’è un altro aspetto importante da sottolineare in questa vicenda. Il voto del Senato ha politicamente sepolto la legge anticorruzione che porta il nome della professoressa Severino, Guardasigilli del governo Monti, che stabilisce che un parlamentare condannato in via definitiva debba essere considerato decaduto dalla Camera di appartenenza (e sospeso dopo la sentenza di primo grado).

Ebbene, se un ramo del Parlamento si rifiuta di applicare una legge, anche rigettando il parere della Giunta per le immunità favorevole alla decadenza di Minzolini, vuol dire che quella legge è morta e che ha avuto una sola, vera vittima: Silvio Berlusconi, capo di un partito di opposizione, fu allontanato dal Senato a causa della condanna definitiva per corruzione e ora sta aspettando la riabilitazione morale e giuridica da parte della Corte europea di giustizia.

Conclusione: si intrecciano molti elementi in questa due giorni del Senato che porta i nomi di Augusto Minzolini e Luca Lotti, loro malgrado accoppiati in un comune destino. Vedremo presto se la loro «salvezza» è un episodio di piccolo cabotaggio parlamentare o se invece prefiguri quel che potrebbe accadere dopo le prossime elezioni politiche.

© RIPRODUZIONE RISERVATA